[Alternative Pop] Gorillaz – Plastic Beach (2010)

 

gorillaz plastic beach

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Eehh Damon, che hai combinato? Tanta roba, troppa roba. La reunion dei Blur, il nuovo disco dei Gorillaz…tutto in una volta. Essì che, sulla carta, la nuova creatura della band virtuale per eccellenza aveva tutti i numeri: molte collaborazioni di rilievo, nuove sperimentazioni, un concept album… Che cosa non ha funzionato?

Manca figosità. Il disco non è figo. Non è figo da ascoltare, non ci si sente fighi ad ascoltarlo. E si fatica ad arrivare alla fine. Coi primi due era stato centrato il bersaglio: un mix eclettico ma immediato, un mood perfetto di acidità urbana. Pur non inventando nulla, sembrava davvero di ascoltare qualcosa di nuovo e avanti coi tempi. Ora invece si arriva col fiatone a rincorrere trend attuali. Ci sono tante cose, sì, ma non si amalgamano bene. Insomma, la maionese è diventata ‘pazza’ e non sta insieme, fa i grumi.

Il disco procede proprio a blocchi grumosi di stili differenti. Dopo l’intro orchestrale, l’hip hop di Snoop Dogg parte con un bel groove funkettoso ma poi è piatto e deludente, un’apertura veramente anonima. Per fortuna ‘White Flag’ ha un mc ben più convincente, così come è interessante la componente di musica etnica. Alla quarta traccia appare finalmente Damon, ma ‘Rhinestone Eyes’ sembra il peggio di Robbie Williams. Con ‘Stylo’ finalmente si sente la produzione tarra che cerca di spingere un singolo ma…questo sarebbe un singolo? Davvero, dove sarebbe il singolo spaccaossa? Sarebbe ‘Stylo’? Ma che significa? Il confronto coi cavalli da battaglia della band come ‘Clint Eastwood’ (quella del Conto Arancio…) e ‘Feel Good Inc.’ è impietoso. Al disco manca mordente, una direzione precisa, manca il mix di groove e melodia che fa la differenza….quello di Plastic Beach sembra una parodia del passato. Un pezzo come ‘Superfast Jellyfish’ avanza davvero: troppo hip hop, esca per il pubblico americano e basta. Per fortuna almeno Mos Def si rivela il miglior ospite, piazzando l’ottimo mc di ‘Sweeptakes’. Il resto sfiora il tragico, come i richiami agli atroci Empire Of The Sun su ‘Empire Ants’, ‘Glitter Freeze’ praticamente rubata ai Goldfrapp e il synthpop anni ’80 di ‘On Melancholy Hill’ e ‘To Binge’. Hanno scomodato pure Lou Reed, che male non fa, ma che in ‘Some Kind Of Nature’ sembra a suo agio come un vecchietto che cerca di imparare Facebook dai nipoti. Si salva qualcosa con la sentita ‘Cloud Of Unknowing’ ma è troppo poco, troppo tardi.

Avevamo un progetto serio ma che riusciva a non prendersi troppo sul serio, capace di produrre due tra i migliori album degli anni ’00; ora si ritrova intrappolato nel suo stesso mondo a cartoni animati, schiavo di troppe tendenze attuali come hip hop e sintetizzatori a cannone, con poche idee veramente valide e immerso in un goffo mattone filoecologista.

Marco Brambilla

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