Gli Alice in Chains chiudono il trittico di date italiane con uno show che meriterebbe un neologismo per potere essere definito. L’accoglienza del pubblico è a dire poco calorosa e la band ne resta quantomeno sorpresa, gasandosi a sua volta e regalando una prestazione che molti ricorderanno a lungo.
La scaletta è prevedibilmente variata rispetto alle precedenti serate, come lo stesso Cantrell nell’intervista aveva anticipato, e per questo l’apertura con “All Secrets Known” dal recente Black Gives Way To Blue lascia tutti a bocca aperta, prima di un salto indietro con “It Ain’t Like That” ed “Again” accolte da un boato. “Check My Brain” non fa calare neanche di un minimo la piacevole tensione, a dimostrazione del fatto che l’ultimo disco di casa AIC sia da collocare tra i migliori episodi della discografia del combo americano.
Il trittico “Them Bones”, “Damn That River” e “Rain When I Die” dà il via ad una sequela di schiaffi in faccia per la precisione e per la sincerità con cui viene eseguito. L’immancabile intermezzo riflessivo e semiacustico è affidato al singolone “Your Decision” a cui è legato un video splendido ed alla “allegromanontroppo” “No Excuses”, forse il pezzo più scanzonato della band. A questo punto la serata è praticamente perfetta e come tutte le cose perfette deve essere guastata dal solito italiota medio che lancia una birra sul palco, senza per sua fortuna sfiorare nessuno. Il vecchio Jerry, tanto buono fuori quanto bastardo dentro, alza la birra e ringrazia l’imbecille, che ha rischiato di interrompere lo show con largo anticipo, suggerendogli di infilarsi la lattina “in the ass” (a voi l’onere della traduzione).
Dopo una risata che sa di incazzoso la chitarraccia di Cantrell attacca il riff di “We Die Young” e si torna negli anni Novanta senza bisogno della Delorean. Il brano è suonato da paura così come la successiva “A Looking in View”, al termine della quale William DuVall rispolvera l’acustica e Jerry si avvicina al microfono per dedicare “Nutshell” ad un certo Layne Staley. L’intensità che si respira in quei quattro minuti sembra durare da sempre, qualcuno non riesce a trattenere una lacrima, quasi tutti chiudono gli occhi e si lasciano trasportare da sensazioni che si vivono solo quando agrodolci cicatrici tornano a pulsare su un cuore ferito ma che ancora trova la forza di battere dentro al petto.
“Lesson Learned” e “Acid Bubble” sono divine ma a questo punto servono solo come viatico per “Down in a Hole”, cantata a squarciagola da un pubblico splendido e amico, che si esalta poi sulla layniana “Angry Chair” ed esplode definitivamente sulla immancabile “Man in The Box” dove capelloni di oggi ed ex chiome fluenti si lasciano andare in un headbanging che sa più di testate contro la vita che di semplice istinto rockettaro.
“Would?” e una “Rooster” piena di pathos chiudono un set davvero valido ed affrontato con grande capacità dagli Alice in Chains, che si confermano come la reunion (o presunta tale) più sensata dal momento in cui le reunion hanno iniziato a diventare una moda. Abbiamo di fronte una vera band che suona del grande rock (sottolineo rock, non metal), nuova fresca e con un passato glorioso. Sui singoli è inutile sprecare ulteriori commenti, ma uno su Mr. William DuVall può scappare: in tempi in cui tutti osannano il giustamente magnifico Myles Kennedy non stupitevi se in questo momento dietro ad un pc c’è qualcuno che se la sente di definire almeno di pari
livello il “sostituto” di Layne Staley.
Riccardo Canato
Foto di Nicola Lucchetta