I Rise Against, da sempre, hanno due difetti: sono persone semplici (leggasi: non hanno il look da rockstar, non hanno sto gran carisma.. ricordano molto la gente che puoi trovare in un qualsiasi pub al venerdì sera) e la timbrica vocale di Tim McIlrath non è facile da apprezzare al primo impatto. Per il resto, sarebbero una band con tutte le carte in regola: bei brani e dei testi e il lato visivo, che sia l’artwork dei cd o i video, che riflettono il loro attivismo politico (sono dichiaratamente di sinistra) e sociale (da sempre vegetariani, sono attivisti dell’associazione PETA).
Endgame conferma quanto si poteva intuire su Appeal To Reason: la svolta commerciale della loro release del 2008 qui raggiunge l’apice. Lanciato dal singolo Help Is On The Way (pezzone), il resto dell’album naviga su livelli più che sufficienti, a cavallo tra brani più pesanti (A Gentlemen’s Cup, Endgame e molte parti sparse) e punk hardcore più melodico, che caratterizza praticamente il resto di Endgame. Troppe però le lacune.. tra tutte il fatto che Architects non è quell’inizio col botto come è stato, per dire, Collapse (Post-Amerika) su Appeal To Reason; gap che si riflette anche sul resto del disco, ricco di spunti interessanti ma senza i capolavori destinati a diventare dei classici. Aggiungete il fatto che, in più di un occasione, la band sfrutta malamente i jolly che ha in mano: Wait For Me è una power ballad che non ha nulla da spartire con Hero Of War e l’idea del coro di bambini su Make It Stop è ottima ma giocata in maniera molto banale.
Inevitabile fare un confronto tra Endgame e Appeal To Reason, dal quale l’ultima release della band di Chicago esce con le ossa rotte. Non un disco pessimo, ma una mezza delusione che arriva da una band che, pur lanciata da un’estate da protagonisti dei maggiori palchi internazionali, non gode di un buon periodo di forma dal punto di vista compositivo
Nicola Lucchetta