Sono passati dodici anni e un pesante decesso (Carl Crack) per gli Atari Teenage Riot dall’ultimo disco degli anni Novanta 60 Seconds Wipeout al nuovo capitolo Is This Hyperreal?. Proprio per la paura di fare un tonfo, i tedeschi coinvolgono un guru della musica elettronica come Steve Aoki, che lo troviamo nel ruolo di coproduttore con la sua label Dim Mak e in un’ospitata su Codebreaker. Nomi importanti per un ritorno che conferma il valore della band di Alec Empire, ma sul quale aleggia l’ombra di alcuni segnali di cedimento.
Peccato perché Is This Hyperreal? aveva le carte in regola per confermare lo stratosferico livello della band prima della lunga pausa: performance incendiarie nel tour del 2010 e un singolo, Blood In My Eyes, sono due ingredienti che facevano ben sperare. Proprio quel brano, insieme alla prima traccia Activate, illudono l’ascoltatore: l’accoppiata iniziale è, di fatto, il miglior capitolo dell’intero album e una vera e propria pietra miliare nella loro carriera. Il resto del disco presenta i soliti ingredienti degli Atari Teenage Riot: testi over the top, con le performance vocali della giappo/statunitense/teutonica Nic Endo (anche a livello melodico) che non fanno rimpiangere Hanin Elias, produzione devastante (per la quale è stato coinvolto ancora quel personal computer che dà il nome alla band), il solito mix di elettronica, punk e metal e una qualità che si attesta su livelli più o meno alti. Pesanti però, quando presenti, i cali di stile: Black Flags è una versione elettronica e sbiadita dei Rage Against The Machine, la titletrack è troppo lunga (anche se la prendiamo come intro di Codebreaker, la collaborazione con l’artista di origini giapponesi) e i cori della conclusiva Collapse Of History sono un po’ fuori luogo. Fattore da non sottovalutare anche la pesante mancanza del defunto Carl Crack, che emerge nelle poche parti date al suo sostituto CX KiDTRONiK.
Un giudizio finale su Is This Hyperreal?? Le idee sono buone, il valore degli Atari Teenage Riot viene confermato, ma la presenza di alcune stonature può far storcere, ad un primo ascolto, il naso. Resta il fatto che, di fronte alle vicissitudini passate dalla band (della lineup originaria è restato solo Alec Empire), il risultato è ben sopra le aspettative. All’apparenza un po’ arrugginiti, ma ancora ampiamente validi.
Nicola Lucchetta