I The Horrors di Skying sono cresciuti: se già Primary Colours due anni fa aveva sorpreso tutti con le sue sonorità a metà tra kraut-rock e shoegaze, con il terzo disco Faris Badwan e compagni mettono in scena la loro definitiva maturazione. Lasciate ormai da tempo nel dimenticatoio le pettinature cotonate e il garage rock di seconda mano dell’esordio Strange House, il quintetto londinese alza ancora la posta in gioco, andando oltre le sperimentazioni dell’ultimo album: meno tristezza e più colore (a partire dalla copertina), meno Joy Division e più anni 80, meno influenze facilmente riconoscibili e più idee originali.
L’apertura di “Changing the rain” mette subito le carte in tavola, con un sound curatissimo trainato dai sintetizzatori. Vengono in mente gli Stone Roses, ma la vera novità è l’atmosfera decisamente rilassata, che prelude ad altri momenti simili nel corso del disco (“Dive in”). Il vertice lo si raggiunge quando la band fa completamente a pezzi lo stile dei primi due album: la splendida “Endless Blue” unisce senza alcuna fatica una delicata intro, con tanto di fiati, ad una forsennata corsa rock, mentre il primo singolo “Still Life” sembra uscito dalla penna dei Simple Minds.
A sorprendere è soprattutto la voce di Faris Badwan: se anche nell’album precedente il debito con Ian Curtis era ancora forte, ora sembra finalmente avere sviluppato uno stile personale, a suo agio sia con le jam psichedeliche (“Moving further away”), sia quando rispuntano le radici rock (“Monica Gems”). Il resto della band costruisce tappeti sonori di grande suggestiva, dove l’intreccio tra sintetizzatori e chitarre non può che ricordare i My Bloody Valentine.
Al di là del loro evidente amore per i suoni del passato, con questo album i The Horrors sembrano avere finalmente sviluppato uno stile proprio. Per un gruppo spesso accusato di pagare tributo troppo apertamente ai suoi idoli, si tratta di una svolta insperata, e che lascia ben pensare per il futuro. Ma intanto godiamoci la varietà e la profondità di questo Skying, giusto in tempo per l’estate.
Giorgio Bonomi