La più grande truffa del rock and roll degli ultimi anni? Una boyband mascherata dietro a delle distorsioni? Si possono dire tante cose sul fenomeno Royal Republic, ma il loro primo disco “We Are The Royal“, uscito la scorsa primavera, tiene ancora botta negli stereo di molti: ne è la testimonianza il lunghissimo tour autunnale di supporto, che li ha portati al rinomato Underworld di Londra in una serata di inizio novembre.
Con un solo disco all’attivo, è scontato inserire in apertura ben due gruppi con set dal tempo più che dignitoso. Su entrambi i fronti, impressioni più che positive, partendo dai britannici Krakatoa, che sono quanto di più Londonish si possa piazzare in una band: attitudine indie rock, melodie ballabili (vi consigliamo il pezzo “Invictus”, molto bello) e l’ombra dei Clash dominano in un quintetto giovane, nel giro già da diverso tempo e che capace di dimostrare una compattezza e un feeling da band navigata. Meno curati, più grezzi, ma altrettanto validi gli australiani Tracer: il terzetto oceanico naviga su sonorità più agganciate agli anni Novanta, come il grunge (echi di Soundgarden e della voce di Chris Cornell non sono passati inosservati) e lo stoner. Band compatta, della quale abbiamo apprezzato la cover, tanto inutile quanto ben riuscita, del classico “War Pigs” dei Black Sabbath, ingiustamente il momento più caldo della loro mezz’ora di spettacolo.
Il concerto degli svedesi Royal Republic, se ci si dovesse basare sulla sola scaletta, avrebbe superato i 40 minuti a fatica: non che si potesse pretendere di più dal prezzo veramente popolare e da un gruppo che di fatto è agli esordi, escludendo una “21st Century Gentlemen” tagliata dall’encore a sorpresa. Adam Grahn riesce, con la complicità dei suoi compagni di avventure, ad allungare lo show di una mezz’oretta buona, grazie a delle azzeccate cover (“Seek And Destroy”, “Iron Man” e “Ace Of Spades”) dimostrando che dietro al carisma e a e alla sua figura imponente ci sono anche notevoli doti da showman. Scalda il pubblico in più occasioni e ironizza sull’accento svedese che “può non essere apprezzato”, anche se la parentesi più bella la dedica al loro precedente manager, che la band ha licenziato quando si aspettava di sentire da loro un pezzo da piazzare in rotazione radiofonica.
Vedersi un concerto a Londra è tutta un’altra esperienza: il pubblico italiano sarà il più caldo ed esagitato, ma quello della Capitale britannica canta tutte le canzoni. Risultato: delirio assurdo con buona parte dei pezzi (anche se il non aver colto il classico dei Motorhead al primo giro di basso è un peccato difficile da perdonare), con la conclusiva “Full Steam Spacemachine” accolta da un inspiegabile boato finale. Questo perché, in proporzione, pezzi clamorosi come “Underwear” e “Tommy-Gun” o l’interessante parentesi acustica “Walking Down The Line”-“I Must Be Out Of My Mind” sono stati accolti più freddamente.
Fuoco di paglia o next big thing del panorama rock mondiale? Dal pezzo inedito proposto a fine scaletta, i presupposti per un progetto destinato a durare ci sono tutti. Per il momento però, culliamoci nella certezza che i Royal Republic sono una band che diverte e che, soprattutto, si diverte.
Setlist Royal Republic: We Are The Royal, The Presidents Daughter, Good To Be Bad, The End, Underwear, Cry Baby Cry, Walking Down The Line, I Must Be Out Of My Mind, OIOIOI, Ace Of Spades, Brano Inedito, All Because Of You, Tommy-Gun, Full Steam Spacemachine
Nicola Lucchetta