Smaltita la sbornia del reunion tour dei Soundgarden, e in attesa della pubblicazione del loro nuovo disco, Chris Cornell ritorna alla carriera solista con il compito arduo di pubblicare qualcosa che possa riscattare il mezzo passo falso di “Scream“, il disco con Timbaland pubblicato nel 2009. Impresa difficile, ma superata cum laude: “Songbook” è una delle pagine più brillanti della sua vita da musicista.
La scaletta è composta da sedici pezzi, tra cui due cover (“Thank You” dei Led Zeppelin e “Imagine” di John Lennon) e un inedito (“The Keeper“, particolarmente riuscito), che sono un vero e proprio best of di tutto il repertorio più intimista scritto e cantato nel corso degli anni. Non troviamo inutili pacchianate come una “Jesus Christ Pose” in versione acustica, ma solamente brani adatti ad essere riproposti con chitarra e voce. Ciò non significa che alcuni momenti della sua vita professionale siano stati tralasciati: troviamo infatti “Call Me A Dog” dei Temple Of The Dog, brani della sua parentesi solista e mezza scaletta dedicata a Soundgarden e Audioslave, ovvero i periodi più importanti della sua carriera. Di fronte ad un materiale di così alto livello, è difficile indicare quali sono i brani migliori e peggiori del lotto, ottima anche la scelta di fare un quadro riassuntivo del tour primaverile pescando brani dalle varie serate.
Chiudiamo con la cosa che conta: come un novello Sansone, il fatto di essere tornato con i capelli lunghi sembra aver dato una nuova giovinezza, e un’incredibile forma, alla voce di Chris Cornell. Dopo le performance spesso deludenti della prima parte del nuovo millennio, il 2011 e “Songbook” ci riportano alla ribalta il talento incredibile di uno dei singer più cristallini degli anni Novanta.
Nicola Lucchetta