“In Gold Blood“, etichettato in Regno Unito come l’album della definitiva svolta commerciale dei Kids In Glass Houses, non arriva come un fulmine a ciel sereno: il cambio di sound, per i maligni, o la definitiva maturazione, per i realisti, dei gallesi era in realtà preannunciata già da numerosi episodi presenti nei precedenti due dischi. Quello che in molti non si sarebbero aspettati è che l’esperimento è pienamente riuscito: Aled Phillips e soci hanno un prodotto che è un ottimo biglietto da visita per il lancio definitivo nelle vette delle classifiche.
Partiamo dai singoli: “Gold Blood” e “Animals” sono le due parentesi che, insieme alla parte finale dell’album, di fatto collegano passato e presente del quintetto britannico. Scelti non a caso, forse per non far sentire spaesati i fan di vecchia data, sono comunque degli episodi che sembrano voler nascondere la nuova identità dei Kids In Glass Houses. Infatti ci troviamo di fronte ad un combo maturo, dal punto di vista strumentale e degli arrangiamenti: musicalmente non c’è una nota fuori posto, le linee vocali si fanno più elaborate e i pezzi sono tutto fuorché banali. Aggiungete che i Nostri fanno un utilizzo egregio dei fiati e avete un’idea della direzione sulla quale si muove “In Gold Blood“: un gruppo di giovani che decide di proporre della musica adatta a ragazzi, con un occhio anche al pubblico più adulto grazie anche ad un concept “impegnato”, basato sulle contraddizioni della società moderna. Troviamo nella parte centrale due dei brani più interessanti: “The Florist” e “Only The Brave Die Free” sono un mix perfetto tra fiati, ritornelli pop da stadio e un certo rock d’annata, in un mood che richiama a tratti la musica dei The Killers.
Un disco che non graffia ma che, anzi, vuole affascinare l’ascoltatore. “In Gold Blood” ha i numeri per lanciare i Kids In Glass Houses verso importanti traguardi.
Nicola Lucchetta