Squadra che vince non si cambia: almeno in studio. Dopo le vicissitudini di lineup avvenute nel corso del tour di supporto al precedente “A Sangue Freddo”, la formazione storica (!!!) del Teatro Degli Orrori si riunisce per “Il Mondo Nuovo“. Terzo lavoro per la band quindi, quello che solitamente è considerato come un passaggio essenziale per stabilire il successo definitivo o la definitiva mediocrità. Il gruppo veneto/lombardo accoglie la sfida scrivendo quello che è il suo disco più ambizioso: un concept album di sedici canzoni, sedici ritratti incentrati sull’immigrazione.
Nel trattare un argomento così impegnativo, inevitabilmente anche la proposta musicale si evolve: la fusione tra cantautorato tricolore e alternative rock statunitense resta ben radicata nelle coordinate del quartetto, nelle forme dello spettro dei Jesus Lizard, una delle massime ispirazioni della band di Pierpaolo Capovilla, che esplode in tutto il suo splendore nel primo singolo “Io Cerco Te”, e gli Shellac di Steve Albini, tributati nella cover in italiano di “Doris”. Un sound apparentemente rodato che viene contaminato da diverse influenze: l’elettronica degli Aucan e il rap di Caparezza scippano letteralmente “Cuore D’Oceano”, l’eco dei Korn e una sorta di pop etnico si sentono in “Stati Uniti D’Africa”, e il colpo di fulmine di Gionata Mirai con la chitarra acustica caratterizzano il brano “Ion”.
L’evoluzione più importante resta però quella dei testi, ed è una notizia importante, visto che parliamo di una band che non è mai stata il massimo della creatività, essendo figlia della letteratura contemporanea e di maestri della prosa come Carmelo Bene. In “Il Mondo Nuovo” il lato lirico del Teatro Degli Orrori riesce a migliorarsi definitivamente, aiutato sicuramente dai temi toccanti e di cruda attualità. Il declino di valori (“Io Cerco Te” e “Vivere E Morire A Treviso”) e i fatti personali di protagonisti sconosciuti al grande pubblico (come ad esempio la tragica storia di Ion Cazacu nell’omonimo brano) sono gli argomenti principali di quasi tutti i brani.
Di fronte a questa lunga premessa si potrebbe pensare ad un disco ottimo. Peccato non sia così: il quartetto ha forse esagerato dal punto di vista della quantità, tanto che 74 minuti di durata totale risultano troppi. Qualità altalenante e una disomogeneità a livello musicale (il “lato a” prevalentemente elettrico e il “lato b” con le parti acustiche e dilatate a farla da padrone) minano in maniera piuttosto grave un disco che avrebbe avuto il potenziale per essere annoverato fra le più luminose release del rock italiano del nuovo millennio. Non giovano alla situazione anche alcuni arrangiamenti di dubbio gusto: un esempio clamoroso è “Gli Stati Uniti D’Africa”, con una parte centrale che pare lasciata a livello d’abbozzo.
Al traguardo del terzo disco, il Teatro Degli Orrori non riesce quindi a confermare pienamente gli ottimi giudizi del debutto e i buoni di “A Sangue Freddo”. Forse il concept è effettivamente troppo pesante, forse il complesso ha allungato un po’ troppo il brodo, fatto sta che l’ascolto di “Il Mondo Nuovo” lascia l’amaro in bocca, poiché sembra di essere di fronte ad un potenziale capolavoro incompiuto. Un cd sicuramente destinato a crescere con gli ascolti ma che, al momento, si colloca al di sotto delle due precedenti opere del combo di Pierpaolo Capovilla.
Nicola Lucchetta
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