Intervista Tazenda Ottantotto è il disco del ritorno

I Tazenda, uno dei gruppi più conosciuti del panorama sardo, sono tornati nei negozi con “Ottantotto“, un disco che non tradisce quanto fatto in passato ma che è la naturale evoluzione verso una natura più pop e meno sperimentale rispetto agli album precedenti. Una svolta che, come confermato dal chitarrista Gino Marielli, è nata con l’ingresso di Beppe Dettori al posto dello storico cantante Andrea Parodi, morto nel 2006.

Puoi parlarci delle registrazioni di Ottantotto?
Abbiamo registrato questo lavoro a Sant’Antioco, un’isola nell’isola, molto suggestiva. In un bellissimo studio dove si respira l’energia delle chitarre di Syd Barrett e Keith Richards, dei moog di Keith Emerson…Quest’atmosfera anni Settanta ci ha invitato a influenzare la nostra musica con suoni di altre generazioni. Nel nostro solito sound etno-pop-rock abbiamo innestato l’elettronica e le chitarre del progressive.

Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a scegliere questo titolo?
Volevamo un titolo originale, che non fosse il titolo del singolo. Volevamo fare qualcosa in stile Pink Floyd, che hanno intitolato il loro più grande album The Dark Side of the Moon, che era semplicemente una frase all’interno di un pezzo. Tra le tantissime simbologie di questo numero, che vorremmo scoprissero gli altri, la più facile è quella che richiama la velocità del brano che ha dato appunto il titolo al disco (88 bpm), un pezzo scuro e sperimentale.

Uno dei vostri marchi di fabbrica è l’utilizzare diverse lingue: il sardo, l’italiano e l’inglese. Come mai questa scelta, che avete messo in pratica anche nel singolo Mielacrime?
La scelta iniziale di cantare in sardo è stata anche una scelta di suono. L’italiano per noi rappresenta il nostro modo di comunicare in modo più esteso, mentre l’inglese rappresenta il sogno della lingua musicale in senso planetario, su cui ci siamo formati da ragazzini.

Sono passati ormai sei anni dalla morte di Andrea Parodi, musicista presente per diverso tempo con i Tazenda. Quanto è cambiato l’approccio, a livello live e di composizione, con l’ingresso di Beppe Dettori come suo sostituto?
Non è cambiato per il fatto che ci sia un altro cantante, ma perché nel frattempo sono cambiati i tempi e siamo cambiati anche noi. Con Andrea stavamo sviluppando una ricerca incentrata più sulle radici. Con Beppe andiamo verso un approccio a metà strada tra la sperimentazione e la pop song.

Avete avuto una più che buona notorietà nella prima metà degli anni Novanta. Cosa ricordate di quel periodo?
Ricordiamo una cosa che adesso non c’è più: l’atteggiamento delle case discografiche che facevano un po’ da “mamma chioccia” agli artisti, noi dovevamo solo pensare a suonare. L’artista di oggi invece deve essere competente e attivo durante tutte le fasi, dalla produzione alla promozione. Anche per questo abbiamo fondato la nostra etichetta, la Vida Records.

Che programmi avete per promuovere il nuovo lavoro?
I media tradizionali offrono poco per le cose di qualità. Per questo proponiamo il nostro lavoro nelle esibizioni live, nelle trasmissioni radio a livello capillare (non solo quindi nei grossi network) e in tutte le forme di esposizione che offre il web.

Nicola Lucchetta

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