I Binary sono uno dei tanti nomi emersi nel panorama musicale britannico, quello che può essere definito come il più “caldo” a livello internazionale negli ultimi anni. Pur non avendo ancora un disco da promuovere (e, come potete leggere nel corso dell’intervista, al momento non ne sono ancora interessati), sono stati indicati da NME come uno dei cento nomi più caldi del 2012. Abbiamo incontrato David, cantante e chitarrista, e Francesco, musicista originario della Toscana trasferito nella capitale britannica, subito dopo il loro concerto di spalla a Marilyn Manson al Gran Teatro Geox di Padova per una veloce chiacchierata. Tra il “farsi il culo” e ascolti che vedono anche due nomi importanti della scena rock italiana, i Binary bussano la porta ai fan italiani.
Potete parlarci della storia del progetto Binary?
D: Ci siamo incontrati nel corso del 2010 e, come prima cosa, abbiamo iniziato a scrivere i nostri primi brani inediti nel mio appartamento a Londra. Il nucleo della band in realtà non è nato da subito, ma si è formato nel corso del tempo.
Avete solo un paio di singoli in cantiere, accompagnati entrambi da dei videoclip. Siete al lavoro sulla vostra prima release, un album o un EP?
D: Al momento i nostri pensieri sono focalizzati solamente su due cose: scrivere e andare in tour, magari sfruttando quelle occasioni che ci capitano tra le mani come questo prestigioso tour di supporto a Marilyn Manson o quanto fatto in precedenza con gli A Place To Bury Strangers. Il nostro unico interesse è di crescere, come musicisti e come fanbase. Non ci siamo ancora posti il problema di mettere delle scadenze per la pubblicazione del nostro primo album o, come hai detto te, EP. Non abbiamo interesse a far uscire tutto subito: quando sarà il tempo, lo faremo. Proprio per questo non so dirti se saremo nei negozi entro il 2012 o se bisognerà aspettare il 2013.
Una cosa che mi ha colpito della vostra band è che un magazine influente come NME vi ha indicati come una delle 100 band “più calde” del 2012. Qual è stata la vostra reazione di fronte a questo “premio”?
D: Sembra scontato dirlo, ma siamo entusiasti, anche perché NME è, insieme a Kerrang, la rivista più vicina a quello che proponiamo musicalmente. La cosa ci rende ancora più felici perché finora abbiamo fatto solo quello che ci sentivamo di fare.
Avete appena finito di suonare il vostro set di supporto a Marilyn Manson, artista con il quale, onestamente, condividete ben poco. Come è nata questa insolita collaborazione?
F: Tutto è nato con il fatto che stiamo lavorando insieme a Sean Beavan, ingegnere del suono che fa parte dell’entourage di Manson fin dall’inizio della sua carriera, avendo mixato e prodotto praticamente tutti i suoi dischi. Sapevamo che Manson stava venendo in tour in Europa e gli abbiamo proposto dei pezzi proprio tramite Beaver. Li ha apprezzati e a quel punto abbiamo ricevuto l’offerta di seguirlo in queste date europee.
D: In ogni caso, anche se musicalmente siamo due band diverse, Manson musicista lo abbiamo sempre apprezzato. “Born Villain” è, secondo me, il suo miglior lavoro da diversi anni e anche il precedente “The High End of Low” aveva un suo perché. Il ritorno di Twiggy Ramirez in formazione si è fatto sentire.. Abbiamo avuto anche occasione di incontrarlo più volte nel corso del tour e si è dimostrato una persona splendida, ben lontana dall’idea che la gente si è costruita attorno a lui nel corso degli anni.
I vostri brani presentano molte influenze vicine ai Joy Division. Cosa ne pensate di questo gruppo e della sua influenza ancora pesante a distanza di più di trent’anni?
D: Moltissime. Quando ci siamo formati la direzione era ben definita: eravamo una post-punk band ed era inevitabile essere influenzati da nomi come gli Echoes And The Bunnymen o i già citati Joy Division. In ogni caso, grazie a Francesco, abbiamo avuto la possibilità di assimilare anche l’influenza di band italiane come, ad esempio, i Litfiba, che però personalmente non apprezzo, e i CCCP, un gruppo veramente incredibile e che, personalmente, metto allo stesso livello della band di Ian Curtis. Abbiamo iniziato a cambiare e a virare verso altri generi parallelamente con i nostri nuovi ascolti: noise rock, shoegaze, industrial sono stili che sono entrati inevitabilmente a far parte della nostra proposta. Noi puntiamo ad evolverci, a guardare il più avanti possibile, e dei Joy Division apprezziamo soprattutto quella pesantezza da molti sottovalutata. Quando qualcuno pensa ai Joy Division, inevitabilmente, pensa a delle ritmiche easy e ballabili; a noi invece ha sempre affascinato le loro chitarre distorte e le ritmiche heavy.
Torniamo alle vostre influenze.. nella vostra pagina Facebook avete pubblicato video di Donna Summer, Babylon Zoo, Beastie Boys. Quali sono, quindi, le vostre massime ispirazioni?
D: Ascoltiamo di tutto, ma band come Joy Division, Smashing Pumpkins e Nine Inch Nails sono forse il trittico che più rappresenta il percorso artistico dei Binary attuale e, perché no, futuro. Altri nomi importanti, ma forse meno evidenti, sono Radiohead, Jesus And Mary Chain, Depeche Mode. Come potrai intuire, la nostra idea di musica è sola una: prendere vari generi musicali, che siano legati al rock, al pop o all’elettronica, e fonderli in un’unica proposta omogenea.
I vostri piani per il futuro?
F: Il nostro obiettivo nel breve periodo è solo quello di scrivere tanti pezzi, perché più componi più scrivi cose interessanti, evitando di imprigionarti in un unico singolo per anni. Vogliamo farci conoscere ed apprezzare da molta gente e, solo quando avremo una fanbase numerosa, inizieremo a pensare di pubblicare il nostro primo lavoro.
E Francesco, trasferendosi in Regno Unito, ha trovato in Londra la sua “America”?
F: Questa è una cazzata, ad essere sinceri. In Regno Unito però ci sono molte più possibilità che in Italia: basta pensare che se in Italia ci sono dieci locali per suonare, in Regno Unito ne hai almeno cento. Però, di riflesso, ci sono anche cento band invece che dieci. Il fatto è, che se vuoi emergere, devi farti inevitabilmente il culo: guidare il van, caricare, scaricare, montare la strumentazione perché non hai ancora la possibilità di avere dei ragazzi che ti aiutano, spendere ore per suonare un concerto al quale magari non verrà nessuno. La prima cosa è appunto lavorare sodo, che lo si faccia in Inghilterra o in Italia. Certo, in Regno Unito le possibilità sono più numerose perché c’è più interesse ed ascolto, e la musica viene vista come una passione e non come una continua battaglia tra allievi, però da qui a dire che l’Inghilterra è l’America ce ne passa..
Nicola Lucchetta