The Hives Lex Hives

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Saranno una delle migliori live band da vedere attualmente (e non lo diciamo solo noi, ma anche riviste tipo Spin Magazine), ma su disco i The Hives non azzeccano un lavoro al livello degli esordi da almeno dieci anni. “Lex Hives” è come prendere una berlina superlusso, godersela per qualche chilometro per poi trovarsi scaraventati addosso ad un muretto alla prima curva, distruggendola.

Sì, perché i primi due brani presenti nella tracklist fanno gridare al miracolo. “Come On” è un brano così ignorante e basilare che fa il giro e diventa geniale e “Go Right Ahead” è un singolo perfetto, di sicuro il migliore da tempo. Insieme a questi troviamo alcuni brani legati al passato come la successiva “1000 Answers“, “Patrolling Days” e “These Spectacles Reveal the Nostalgics” che, pur non potendo competere in un confronto con le due opener, si comportano da più che buoni comprimari nella tracklist. Per il resto, purtroppo, siamo di fronte a poca roba: le sperimentazioni, quelle cose tanto attese da parte della band svedese, si rivelano solamente dei clamorosi buchi nell’acqua. Appena il quintetto lascia la formula ormai collaudata, e che li ha resi una delle band più apprezzate degli ultimi anni, partono gli sbadigli. Delusione mista a rabbia: perché se i Nostri avessero preso il percorso della conclusiva “Midnight Shifter“, canzone che richiama la musica degli anni Sessanta e tra i migliori episodi del lotto, l’evoluzione sarebbe stata perfetta e avrebbe permesso ai The Hives di intraprendere in futuro un percorso coerente con il passato.

Da una band che ha sfoderato veri e propri capolavori del rock moderno come “Barely Legal” e “Veni Vidi Vicious“, figli dell’irrequietezza giovanile di suonare harder, faster, louder, i The Hives inciampano per la seconda volta nel tentativo di diventare adulti. Certo, ci sono dei pezzi per i quali diverse rock band venderebbero madre, padre, figli, sorelle e parentame vario, ma “Lex Hives” non è il ritorno che ci si poteva aspettare. Dal vivo non tradiscono, ma in studio gli svedesi di Pelle Almqvist sono ormai al secondo scivolone di fila: un disco spaccato a metà tra bei brani e mediocri filler. Che siano destinati a diventare degli eterni Peter Pan?

Nicola Lucchetta

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