Indicati più volte dalla stampa specializzata come la next big thing del rock classico internazionale, i The Gaslight Anthem esplodono letteralmente con “Handwritten”, il loro quarto lavoro e, per ora, il migliore della loro carriera. Dopo un lustro da indipendenti, i ragazzi del New Jersey capitalizzano alla grande il debutto su major (si sono accasati presso la prestigiosa Mercury Records) grazie anche all’importante aiuto del produttore Brendan O’Brien, capace di valorizzare con la sua esperienza in cabina di regia gli 11 pezzi della nuova fatica.
Mentre nei precedenti tre album le ottime potenzialità erano spesso frustrate da alcune incertezze e, in rari casi, persino da filler, nel nuovo disco il songwriting di Brian Fallon e soci raggiunge vette mai toccate: partendo dall’iniziale “45“, utilizzata come singolo di lancio, e arrivando all’accoppiata acustica conclusiva formata da “Mae” e “National Anthem“, il quartetto del New Jersey fa il definitivo salto di qualità senza tradire le sue radici. Troviamo infatti tutti quegli ingredienti che ormai sono diventati il loro trademark: una musica a cavallo tra Springsteen e Pearl Jam con qualche spruzzata di punk, la genuinità della provincia americana e la capacità di azzeccare diversi singalong, destinati a diventare delle vere e proprie bombe nelle esibizioni live. Una proposta che non si discosta dalle basi gettate con lavori quali “American Slang” e che raggiunge in tracce come “Keepsake” e “Too Much Blood” il massimo splendore.
A poco più di sei anni dalla loro formazione, i The Gaslight Anthem sono diventati la rock band dal futuro più roseo del panorama mondiale. I nipoti del Boss sono diventati grandi e con “Handwritten” hanno fatto capire che sono capaci di andare avanti con le proprie gambe. Non vedevamo l’ora: un gruppo giovane che può riuscire ad unire i gusti dei teenager e dei loro genitori.
Nicola Lucchetta