Australia rocks: dopo il fenomeno Wolfmother, che ha riportato lo Stato oceanico al centro dell’attenzione nella musica hard and heavy, i DZ Deathrays bussano alla porta del mercato italiano con il loro nuovo album “Bloodstreams“. Più figli degli anni Novanta rispetto alla band di Andrew Stockdale, il duo di Brisbane preferisce il grunge dei Nirvana e il punk alla musica country, il genere da loro stessi definito “noioso” che domina incontrastato la scena australiana. Li abbiamo incontrati a Villafranca di Verona, nel corso della prima giornata dell’A Perfect Day Festival nella quale hanno suonato come band di apertura per i The Killers.
Puoi parlarci della storia dietro al vostro progetto?
Ci siamo formati ormai quattro anni e mezzo fa e il nostro obiettivo era, principalmente, quello di suonare alle feste dei nostri amici. Non abbiamo puntato a fare le cose in grande da subito, cercando contatti che ci permettessero di suonare in location importanti: puntavamo infatti solamente a fare quello che pensavamo fosse più divertente per noi.
E come è nato il vostro ultimo album “Bloodstreams”?
E’ stato registrato velocemente nel garage di un nostro amico riciclato a studio di registrazione. I tempi sono stati così veloci che le quattordici tracce sono state registrate in solo due settimane, in delle sessioni che ci hanno tenuti impegnati anche per dodici ore al giorno. Avevamo un po’ di fretta per registrare l’album e abbiamo proposto l’idea a questo nostro amico, che ha subito accettato. Il risultato è molto buono, secondo noi, al punto che abbiamo ripreso in mano anche due brani che erano già stati incisi in passato.
E’ giusto, secondo voi, parlare di un ritorno della attitudine Do It Yourself, figlia del punk hardcore anni Ottanta?
Sì, ma la nostra è stata anche un po’ una reazione ad un panorama musicale desolante come quello australiano, ricco di musica country e folk che riteniamo troppo noiosa. Siamo nati e cresciuti in una zona che, pur non essendo desolata, presentava pochi negozi di dischi e la musica che ascoltavi era quella che arrivava dalla televisione. Abbiamo vissuto la nostra adolescenza alla fine degli anni Novanta, periodo nel quale se ti affascino le sonorità hard è inevitabile passare per i Nirvana, i Korn e alcuni nomi heavy metal. Abbiamo avuto le idee chiare sul cosa fare solo negli anni successivi, puntando a suonare musica energetica e che facesse impazzire tutti.
Quali sono le difficoltà di emergere in un contesto internazionale per una band australiana?
Difficilissimo. Basta pensare che esistono molte band in Australia che sono famose in patria ma praticamente sconosciute nel resto del mondo. Inoltre promuoversi in uno stato come l’Australia, vista anche la necessità di viaggiare per lunghe distanze, è una cosa che richiede una notevole spesa di denaro che, spesso, scoraggia alcuni piccoli gruppi. Chi riesce, punta a mercati più “facili” da gestire, come ad esempio quello europeo che ti permette di viaggiare in tempi ristretti in diversi centri importanti; in rari casi, infine, alcuni gruppi decidono di trasferirsi definitivamente in altri Stati come, ad esempio, in Regno Unito. Abbiamo viaggiato molto negli ultimi anni e una delle esperienze che ricordiamo con più affetto è quella al SXSW di Austin (Texas).
Come è stato suonare come band di apertura di una giornata che ha visto, nelle ore successive, esibirsi nomi come Temper Trap, Two Door Cinema Club e The Killers?
Eccitante! Siamo stati scelti come band di apertura e fin da subito eravamo coscienti che la nostra proposta era differente rispetto a tutti gli altri gruppi. Non è la prima volta che ci capita una cosa del genere, e la apprezziamo perché la prendiamo come una sfida con noi stessi. L’affluenza di pubblico era buona già dall’inizio dello show e, a quanto ci è sembrato, il feedback è stato positivo. Non conosco i Temper Trap e Two Door Cinema Club, ma ho avuto l’occasione di vedere i The Killers in uno dei loro primi tour in Australia. Suonarono di fronte a 2000 persone e la loro esibizione fu sorprendente: carichi, pesanti, un concerto sorprendente.
Nicola Lucchetta