Gli All Time Low di “Don’t Panic” sono dei bambinoni mai cresciuti. La pop-punk band di Baltimore ha sempre seguito, fin dai suoi esordi, il “modello Blink-182”, come molte altre band degli anni ’00 nate sull’onda del successo ottenuto dai loro illustri predecessori. E forse hanno fatto anche qualcosa di meglio, visto che dal punto di vista tecnico e dell’accuratezza degli arrangiamenti hanno compiuto senza dubbio numerosi passi avanti rispetto a chi questa musica la suonava 10 anni prima. Fin qui niente di male verrebbe da dire, se non fosse che adesso siamo nel 2012 e si sente decisamente un certo bisogno di novità.
Invece in “Don’t Panic”, quinto album dopo il mezzo flop di “Dirty Work”, la vera notizia (se così si può chiamare) è che non è cambiato quasi nulla: la musica è sempre costituita da canzoni con bpm che trotterellano allegri, tanta tanta energia e chitarre accattivanti, ma poco di più. C’è un po’ di elettronica che entra in gioco di tanto in tanto, ma anche per me, da sempre accanito sostenitore del pop-punk, è un po’ pochino per restare incollato allo stereo.
Del resto si sa che in questo genere non ci si devono aspettare eccessive sorprese, e allora ascoltando “Don’t Panic” ci si addentra nel movimentato (per loro) e ormai un po’ monotono (per noi) mondo degli All Time Low, per 12 canzoni che sono sì di piacevole ascolto ma tra le quali non troviamo nessuna vera e propria “hit”; si sente la mancanza di pezzi come “Weightless” e “Dear Maria Count Me In”, qualcosa che insomma si faccia cantare quando si è sovrappensiero e rimanga sempre in mente. Un album che in definitiva lascia un po’ delusi, ma al quale si può buttare un orecchio se siete amanti del genere e proprio non avete niente di meglio sotto mano.
Marco Bassano