Gli Europe dovrebbero insegnarli a scuola: non solo perché sono gli autori di “The Final Countdown“, evergreen dell’umanità tutta, ma perché sono uno dei pochi esempi viventi di band capace di prendersi una lunga pausa e ripartire più pesante di prima. Il tutto fregandosene di quelle melodie facili che li lanciarono nella seconda metà degli anni Ottanta, piazzando nelle orecchie degli ascoltatori un hard rock bello solido e di qualità. Come quello dell’ultimo “Bag Of Bones”, disco che Joey Tempest e soci hanno deciso di promuovere in Italia con ben quattro concerti, tra cui quello del 27 ottobre al Gran Teatro Geox di Padova.
Con il traguardo dei cinquant’anni in imminente arrivo per tutti i componenti, la band scandinava si diverte come se tutti e cinque i musicisti avessero almeno trent’anni in meno sul groppone e, soprattutto, dimostra di credere ciecamente nel nuovo materiale. Dal passato remoto spazio ai classici irrinunciabili (il poker “The Final Countdown”, “Rock The Night”, “Superstitious” e “Carrie”) e a un paio di sorprese (“Scream Of Anger” e una “Ready Or Not” non proposta a Firenze e Modena); per il resto, a farla da padrone l’ultima release e il precedente “Last Look At Eden”, dischi dai quali verranno pescate tracce che costituiranno più di metà della scaletta e che sono l’ideale raccolto di quanto seminato nei precedenti, ma un po’ acerbi, “Start From The Dark” e “Secret Society”.
Come accennato prima, gli Europe si divertono e stampano il sorriso in faccia al pubblico, composto da chi ha visto gli svedesi crescere e dai figli, quelli più giovani (anche ragazzini di dieci anni) e quelli ormai non più teenager; un audience numerosa che ha apprezzato la scelta dei brani, dedicando comunque le maggiori ovazioni alle canzoni più famose. Non è facile definire il vero e proprio leader del combo, anche se il contributo del cantante Joey Tempest, che non si spreca dal punto di vista vocale (anzi, nel 2012 canta meglio che in certe esibizioni di fine anni Ottanta) e fisico, sparandosi pose a gogo e non rifiutando il contatto con il numeroso pubblico, è innegabile. Questo perché i Nostri sono un perfetto meccanismo: dalla sezione ritmica Haugland-Leven, che sorregge letteralmente il lavoro alle chitarre di John Norum (l’artefice principale della svolta sonora del terzo millennio), passando per quel Mic Michaeli che, pur relegato in un angolo, offre un contributo fondamentale dal lato tastieristico ma, soprattutto, vocale.
Nella seconda calata in poco meno di due anni al Gran Teatro Geox (passarono da queste parti già nel 2010), gli Europe confermano quanto di buono espresso nell’ultimo decennio: ingiustamente imprigionati in quella “The Final Countdown” che per molti gruppi sarebbe stata la firma di una condanna a morte, gli svedesi sono stati invece capaci di ridare al loro sound una seconda giovinezza. Avranno cinquant’anni, ma suonano più pesanti e si dimostrano più in forma di molte band di ventenni. Inossidabili.
Nicola Lucchetta