Quando ci si muove da casa per andare ad assistere ad un concerto, come capita a me, con in testa il cappello del recensore musicale, si è mossi da due istinti contrapposti: confermare i propri pregiudizi oppure ribaltarli. “Vai ad ascoltare Malika? Ma è musica per sedicenni!” mi hanno detto alcuni. Altri, invece, mi avevano garantito che avrei apprezzato. La visione di qualche clip su MTV e YouTube non mi aveva fatto strappare i capelli (che tra l’altro non ho). I brani erano simpatici, orecchiabili quanto basta, si alzavano in volo, viaggiavano in quota e poi tornavano giù, come un Fiumicino-Linate del mercoledì sera. Niente di che.
Certo è che la voce di Malika Ayane, sensuale, profonda, di ventre più che di gola, appena un po’ impastata, era assai seducente. Ma i video sono, per lo più, specchietti per allodole, con sequenze da due secondi, tagli e ritagli, effetti, giochi di specchi, illusioni. Invece la Malika che ho ascoltato stasera è tutt’altra cosa, e molto migliore dell’atteso. La voce è sempre quella, ma ciò che emerge è l’artista sottostante. Matura, empatica, ironica, affabulatrice. 90 minuti di brani scelti con cura, dosando piccole gemme di intellettualismo a pattern ritmici ed orecchiabili.
E i sedicenni di cui sopra? C’erano loro e pure i trentenni, i cinquantenni. Signore, signori, giovinastri. Un po’ di tutto, e tutti attenti a godersi Malika e i suoi dieci (dico dieci) musicisti. Niente tastiere e rack di synth. Tutto autenticamente vero (i tre archi, i tre fiati, il batterista /cajonero, il bassista, il chitarrista / banjsta ed il pianista a coda/rhodes). E così “Tre cose“, “Sospeso“, “Come foglie” e via dicendo scorrono in una rivisitazione acustica che mette in evidenza le belle ed autentiche qualità della Nostra.
Venature di malinconia, momenti di soul, ammiccamenti allo swing più accattivante. Con citazioni da Serge Gainsbourg e timbriche della Ornella Vanoni dei tempi andati. Ma pure con Cyndi Lauper a fare da musa ispiratrice. Non male, no? Un concerto davvero piacevole: l’unico momento tragico è “La prima cosa bella“, dove al pubblico è concesso un karaoke time. Dopo anni di riforme della scuola, ad opera di professionisti del genio guastatori, tra Gelmini e Birre Moratti il popolo del belcanto, che ha dato i natali a Verdi, Puccini, Bellini e Buscaglione è ormai ridotto ad un coro dell’ospedale Spallanzani. Così che sulle note stonate e fuori tempo di “… ho preso la chitarra” il vostro recensore se ne torna a casa soddisfatto da Malika e furente col resto del mondo. Cose che capitano.
Marco Lorenzo Faustini