Non ci fosse stato Bob Mould, prima con gli Hüsker Dü, poi con gli Sugar e quindi con la sua carriera solista, molto probabilmente l’alternative rock statunitense degli ultimi vent’anni suonerebbe un po’ differente. Quasi sicuramente i Foo Fighters (che, non a caso, se lo sono portati in tour la scorsa estate) non sarebbero la band che tutti conosciamo. La sua pesante ombra in un intero movimento viene sancita anche con “Silver Age“, nuovo splendido tassello nella ormai trentennale carriera del rocker newyorkese, che passa la soglia dei cinquant’anni con una classe invidiabile.
Dal riff di “Star Machine” alla conclusiva “First Time Joy“, inizio e fine di un viaggio lungo dieci tracce, Bob Mould con “Silver Age” riporta nel Terzo Millennio il suo periodo d’oro, quello della fase finale degli Hüsker Dü e di “Copper Blue“, il più famoso disco dei Sugar che proprio nel 2012 ha celebrato il suo ventennale. All killer no filler, per quello che è un vero e proprio manuale del rock americano degli ultimi vent’anni: si apprezzano il punk più sofisticato (“Silver Age“, “Briefest Moments“), gli echi di “Changes” (nel singolo “The Descent“), i muri di chitarra densi di melodie (“Steam Of Hercules“), il rock da classifica (“Angels Rearrange“) e un autotributo al suo passato, in quella “Keep Believing” che ricorda anche gli episodi più veloci della band di Grohl (“Monkey Wrench“, per fare un esempio calzante).
“Silver Age” entra di diritto tra i top record rock (quello vero, quello suonato e curato sotto ogni aspetto, non le cose studiate a tavolino spacciate per rock solo perché ci sono le chitarre) del 2012 e nell’intera carriera di Bob Mould; il miglior lavoro dai tempi del già citato “Copper Blue”, scritto da un musicista che ha ancora tantissimo da dire, a livello musicale ma anche lirico.
Nicola Lucchetta