Buckcherry Confessions

Buckcherry Confessions Recensione

Formula che vince non si cambia: a soli tre anni di distanza dall’ultimo lavoro “All Night Long” gli statunitensi Buckcherry tornano nei negozi con il nuovo lavoro “Confessions“, sempre fedeli alla label Eleven Seven Music, ma con un cambio di distribuzione che li porta in EMI/Century Media dopo una carriera tra Universal e Warner Music.

Lanciati nel mercato americano da un successo trascinante (soprattutto dopo la reunion/ritorno di metà anni Zero), “Confessions” è un disco valido ma di mestiere che non intaccherà lo status di icone che i Nostri si sono creati in quasi vent’anni on the road. E l’impressione è che il gruppo abbia steso a tavolino quanto i fan vogliono sentire da loro: sing along, assoli sporcati di blues, tanto glam rock figlio della LA degli anni Ottanta, il tutto costruito attorno ad un impianto moderno. La scelta stilistica svilisce però quella che è la peculiarità della nuova fatica: il fatto che sia un concept album sui sette vizi capitali e su quanto accaduto al frontman Josh Todd nella sua infanzia. Brani musicalmente favolosi come la opener “Gluttony“, l’ottima “Seven Ways To Die” e la sorprendente power ballad “Pride” non perderebbero alcun valore in un contesto generale e l’impressione è che i Buckcherry non abbiano adattato la loro musica alle sfumature di un argomento più che interessante, agendo invece in direzione diametralmente opposta.

“Confessions” non aggiunge e toglie nulla ai Buckcherry, nome tra i più affermati del filone in circolazione. Resta però l’amaro in bocca di un concept dall’altissimo potenziale letteralmente appiattito in una proposta fin troppo collaudata, cosa che influisce in maniera piuttosto pesante nel pur positivo giudizio finale.

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