Se riesci a farti produrre (il disco di debutto Mother Ignorance) e a reclutare come batterista per questo The Hipster Sacrifice una leggenda dell’industrial come Chris Vrenna, uno degli uomini che è stato a fianco a Trent Reznor nell’esplosione del fenomeno Nine Inch Nails, non puoi essere una band mediocre. E il nuovo lavoro dei milanesi (sì, milanesi) Army Of The Universe conferma il fatto che gli italiani, se avessero un minimo di voglia e la volontà di “spogliarsi” di tutti i loro limiti (il primo quello linguistico), possono avere voce in capitolo anche in un genere ormai fuori moda come l’industrial.
Costruito attorno all’EP Until The End, dal quale vengono pescate la title track, Break The Walls e The Weight Of The World, il quartetto propone un lavoro che percorre due vie, diverse ma che ben si amalgamano nel risultato finale. La prima è un synth pop influenzato dalla musica anni Ottanta, che troviamo in tracce come A Visionary Story e In Another Place, e che sfodera di fatto quelli che potrebbero essere i potenziali singoli di lancio: melodie orecchiabili, un ruolo meno aggressivo delle chitarre e linee vocali meno abrasive. Gli episodi migliori però saltano fuori quando i nostri fanno l’occhiolino ad un Pretty Hate Machine a caso, scelta che porta a risultati più che buoni come le già citate Until The End e Break The Walls e la title track: canzoni meno radiofoniche ma che presentano un gruppo in una dimensione a lui più consona.
Nessun episodio leggendario, ma neanche pesanti scivoloni o filler: gli Army Of The Universe fanno centro con The Hipster Sacrifice, titolo altisonante di un lavoro che meriterebbe indipendentemente più di un ascolto.