I Linea 77 sono una band che non si è fermata un momento negli ultimi dodici mesi, protagonista di un’importante rivoluzione nella lineup (Emi ha lasciato il ruolo di cantante ad ottobre 2012 per divergenze artistiche che ormai avevano deteriorato i rapporti) e di un tour che la sta portando in giro per lo Stivale anche nelle ultime settimane di un 2013 ormai agli sgoccioli. In occasione di questi ultimi concerti, e dell’imminente uscita del nuovo EP “C’eravamo tanto armati” fissata per l’inizio del 2014, il frontman Nitto ci ha fatto un resoconto di un anno vissuto di corsa e da indipendenti, senza più un contratto con la major Universal.
Come sta andando il tour, che dura ormai da diversi mesi?
Devo dire che sta andando benissimo, nonostante il periodo e tutta la crisi che sta vivendo anche il mondo live della musica italiana, i nostri concerti sono sempre popolati di gente che ha voglia di divertirsi insieme a noi.
A quasi un anno dall’uscita, puoi ripercorrere la genesi del disco “La speranza è una trappola”? Quanto ha influito il percorso di vita e i cambi di lineup (la sostituzione di Emiliano con Dade) nel risultato finale?
Siamo sempre stati dell’idea che ogni disco rappresenta in musica ciò che stiamo vivendo in quel determinato periodo. Dopo “Dieci” ci siamo messi a scrivere un sacco di canzoni. Quel disco non ci aveva convinto per niente.. anzi, a parte qualche episodio, con il tempo ci siamo accorti che non era quello che volevamo fare. Avevamo 14 o 15 pezzi già scritti ma poi la vita del gruppo ha preso una piega diversa e abbiamo deciso di buttare quasi tutto. L’aver perso una personalità come Emi sicuramente ha influito parecchio nella scrittura, ma nello stesso tempo ci ha dato la forza di reagire nel modo che abbiamo creduto il più onesto possibile, quindi senza cambiare la nostra identità, e facendo quello che sentivamo più vicino ai nostri pensieri e gusti. Lo stesso Dade si è messo in gioco in un modo che credo in pochi avrebbero avuto il coraggio di fare, soprattutto quando hai dei fan che pretendono sempre di poter giudicare liberamente, nei modi anche meno costruttivi. Abbiamo sempre apprezzato le critiche, ma personalmente preferisco ascoltare altro piuttosto che sbattermi e andare a scrivere cazzate nei commenti dei vari social.. se proprio si deve fare qualcosa, che si critichi almeno in modo prima di tutto educato e poi in maniera un minimo costruttiva. Ma a dispetto dei pochissimi che hanno criticato il delirio umano e artistico che abbiamo vissuto, tantissime persone hanno capito il cambiamento, che in realtà è stato un ritorno alle nostre origini.
Un EP la cui seconda parte uscirà ad inizio 2014.. qualche anticipazione? E’ un disco al quale avete lavorato durante il 2013 o i brani sono nati in contemporanea con quelli del precedente?
“C’eravamo tanto armati” nasce subito dopo il primo EP, con qualche outsider da quel primo episodio del nuovo corso e brani nuovi che son venuti tra una data e l’altra. Dal punto di vista produttivo. Soprattutto Dade ha superato se stesso: raramente l’ho visto in difficoltà nello scrivere la musica e le parole, è come se fosse mosso da un’energia nuova e dirompente.
La pubblicazione di due EP nel giro di un anno può essere vista come il vostro metodo di lavoro per il futuro? E’ lo specchio di un’era nella quale l’ascoltatore medio(cre) se ne frega del disco e punta ai soli singoli?
Beh è indubbio che il mondo discografico cosi come lo abbiamo sempre vissuto sia fallito, tranne che per pochi eletti che riescono ad essere sempre su ogni media a livello nazionale, dalle radio alle televisioni. Noi fondamentalmente ci siamo stancati di vedere la vita di un gruppo fatta di cliché: scrivi un album di 10, 11, 12 pezzi, registrali, fai il video dei due, tre singoli e poi tutto il mondo conosce solo esclusivamente quelli senza minimamente riconoscere gli altri. I tempi dell’attenzione di ogni singolo ascoltatore si sono ridotti brutalmente quindi abbiamo abbandonato quella visione un po’ romantica ma anche svilente della scrittura, cercando di ridurre i tempi di uscita e cercando di concentrarci sulla scrittura di pochi pezzi per volta.
Perché nel video de La Musica E’ Finita avete messo, nel segmento iniziale, i loghi di Misfits, Black Flag, Ramones, Prince, Public Enemy e Jamiroquai?
Perché rappresentano una parte dei nostri ascolti, dal punk hardcore al pop, all’hip hop, al funky, ed inoltre è anche la firma di ogni lavoro di INRI.
Anche se questa canzone resta comunque un ritratto ironico del fruitore di musica, fa “coppia” con Il Complesso Del Primo Maggio degli Elio E Le Storie Tese, uscita poche settimane dopo.. ma la situazione italiana secondo voi è così messa male, o c’è qualcosa che comunque si può salvare?
Non so, credo che ci sia un fermento sotterraneo che prima o poi esploderà ma fondamentalmente credo che oggi come oggi, la situazione sia pessima. Soprattutto per ciò che riguarda i media nazionali, la musica proposta è esattamente sempre la stessa, anche le radio più rock mandano sempre gli stessi gruppi, per il 99 per cento stranieri, e per la maggior parte roba fatta al massimo negli anni 90.
Come ci si sente ad essere tornati indipendenti dopo diverse pubblicazioni con una major del calibro di Universal? E quali sono le ragioni che vi hanno spinto a chiudere la collaborazione?
Fondamentalmente non è cambiato nulla proprio perchè siamo sempre stati abituati a farci tutto da soli o con pochi e fidatissimi collaboratori. Universal con noi credo che si sia più che altro occupata di darci i soldi per fare ciò che volevamo, dal ritornare a registrare negli States, ai vari video, ma fondamentalmente abbiamo sempre fatto quello che noi volevamo sia artisticamente che umanamente. Credo che i nostri risultati discografici non fossero in sintonia con le loro aspettative e quindi sia loro che noi ci siamo salutati senza alcun rancore.
Mentre stavo scrivendo queste domande, avevo in sottofondo Too Much Happiness Makes Kids Paranoid.. e spacca ancora tantissimo. A distanza di quindici anni come lo vedete quel disco? E quanto vi siete gasati al momento di siglare un accordo con la Earache?
Beh saremo sempre grati a ciò che ha fatto quel disco per noi, poi è il primo disco, il primogenito, quello che avrà sempre un posto speciale in ognuno di noi. Se ripenso ancora a quando arrivò la proposta della Earache mi viene un sorriso amaro. Sicuramente aver vissuto certe esperienze lo dobbiamo a quell’etichetta, ma è anche vero che, guardando con occhi un minimo più distaccati quel contratto con gli inglesi, ci siamo veramente fatti fregare discograficamente. Ma sono cose che in questo settore succedono, soprattutto se hai poco più di 18 anni e hai solo voglia di suonare. Quel disco ci ha permesso di mettere il naso fuori dal nostro paese e conoscere un sacco di band che vedevamo solo all’interno di riviste come Kerrang! o Melody Maker, ci ha fatto assaporare cosa vuol dire fare musica rock e fare tour massacranti ma pieni di esperienze che ci hanno arricchito come persone e come artisti.