I Calibro 35, uno dei progetti più interessanti del panorama nazionale, è tornato nei negozi alla fine di ottobre con “Traditori Di Tutti“, il quarto capitolo della loro carriera e primo per la Record Kicks, etichetta italiana dal respiro internazionale che permetterà al gruppo diretto da Tommaso Colliva (produttore famoso per le collaborazioni con i Muse) di espandere la sua fanbase anche al di fuori dell’Italia.
In occasione del ritorno in Italia del gruppo con la prima data del tour 2014, in programma questa sera a Roma al Blackout Rock Club, ripeschiamo una chiacchierata con il bassista Luca Cavina e il polistrumentista Enrico Gabrielli fatta una manciata di ore prima della loro esibizione allo Studio 2 di Vigonovo (PD), a pochi giorni dalla pubblicazione del nuovo disco.
Potete parlarmi delle lavorazioni che vi hanno visti impegnati per la stesura e la registrazione di “Traditori Di Tutti”?
“Traditori Di Tutti” lo abbiamo registrato in un piccolo studio di Milano in circa cinque-sei giorni. Poco tempo per semplici ragioni pratiche, visto che ognuno vive in città diverse. Tutto però è iniziato con una lunga fase precedente, che è stata l’approfondimento dell’omonimo romanzo di Scerbanenco, che fa parte di un ciclo di quattro libri con protagonista Luca Lamberti, un ex medico arrestato per un caso di eutanasia e che poi diventerà un poliziotto. Della quadrilogia, “Traditori Di Tutti” è l’unico libro che non è stato rappresentato in un film, e proprio per questo motivo abbiamo scelto di farne un’immaginaria “colonna sonora”. L’ultimo capitolo di questa collana è “Milano Calibro 9”, come il famoso film di Ferdinando Di Leo, che ci ha dato l’ispirazione per il video di “Giulia Mon Amour”, nel quale abbiamo citato la scena di apertura della pellicola raccontata nel capitolo “Stazione Centrale”. Sia chiaro: non abbiamo copiato l’originale ripresa per ripresa, come ha invece fatto un Gus Van Sant per “Psycho” o Michael Haneke nel remake del suo “Funny Games”. Il nostro è stato un semplicissimo tributo, una citazione.
“Traditori Di Tutti” è il primo disco con i titoli in inglese.. un modo per esportare la vostra musica in maniera più semplice?
Non è proprio così: nel disco, oltre ai titoli in inglese, ci sono anche quelli in italiano, francese e tedesco. E’ una cosa tipica delle vecchie library in disco, delle raccolte che dei compositori facevano con dei temi adatti per, ad esempio, accompagnare dei servizi di telegiornali. Nella copertina rimangono i titoli in inglese perché la Record Kicks, la nostra nuova etichetta, pur essendo di Milano ha un roster prevalentemente inglese. Un’etichetta con la quale non sappiamo come sia nata la collaborazione, semplicemente siamo piaciuti ai proprietari.
E’ anche il primo disco dove non sono presenti cover. Per quale motivo siete arrivati a questo “traguardo” solo al quarto disco?
Non so fino a quale punto questa cosa sia stata premeditata, perché non ci siamo mai preclusi il fatto di fare cover. Per come si è svolto il processo compositivo in studio, ci è venuto naturale scrivere dei brani inediti. Certo, quando hai delle ambientazioni di un certo tipo le porti in musica anche all’interno di semplici improvvisazioni. Ciò che abbiamo fatto con “Traditori Di Tutti” è un percorso insolito, quello che si potrebbe definire come una “coverizzazione” di certe atmosfere anche solo come processo, visto che il disco è una via di mezzo tra una colonna sonora e una library. Il tutto è stato reso possibile anche dal fatto che avevamo il compito di portare un libro in musica: non ci sarebbe mai stato dentro un brano tratto da un altro film, sarebbe stata una forzatura inutile.
Sul vostro precedente lavoro, la colonna sonora del film “Said”, avete collaborato con Manuel Agnelli degli Afterhours per una cover di “Ragazzo Di Strada”. Come è nata questa collaborazione?
Prima di tutto ti chiarisco una cosa: la colonna sonora per “Said” risale al 2009, quindi non è “in linea” cronologicamente con il resto della discografia. E’ stata fatta tanto tempo fa, solo che il film tra una cosa e l’altra è uscito quest’anno (2013, ndr) per ragioni legati alla distribuzione che hanno portato alcune difficoltà. Tutto è nato perché Enrico Gabrielli, al tempo, lavorava ancora negli Afterhours, quindi il contatto con Manuel era ancora frequente e, soprattutto, fisico. “Ragazzo Di Strada” l’abbiamo scelta come accompagnamento per i titoli di coda e la decisione di Manuel è stata secondo noi giusta, perché il suo timbro vocale era adatto all’idea del pezzo che avevamo in testa.
Da gruppo alla ribalta della scena nazionale, cosa pensate del progetto “Hai Paura Del Buio”, ideato proprio da Manuel Agnelli?
Allora.. ci sono state molte polemiche e chiacchiere attorno a questa cosa. Quello che pensiamo è che è un progetto attorno al quale sono passate cose più o meno interessanti, come avviene in tutti i festival italiani maggiori e più DIY. Ciò che non ha funzionato è come “Hai Paura Del Buio” è stata proposta dal punto di vista mediatico, e mi riferisco al Manifesto Della Cultura pubblicato nelle pagine di XL Repubblica, dichiarazioni un po’ forti. Si parla comunque di un qualcosa di impegnativo e, se ti metti nella posizione di voler fare un Manifesto e vuoi fare cultura, e politica, devi farlo seriamente perché hai di fronte delle responsabilità in più, e non limitarti ad organizzare un semplice festival. Se invece il tutto si fosse limitato al semplice contenitore-evento, la cosa allora non sarebbe stata oggetto di fraintendimenti.
Avete fissato il tour fino alla fine del 2013. Quali sono i vostri piani per il 2014? Pensate di fare un disco nuovo, visto che avete un ritmo di più o meno un disco all’anno?
In realtà fino a fine 2013 abbiamo in programma una prima fase del tour, focalizzata in Italia con alcune date in Svizzera, Regno Unito e Balcani (dove ormai siamo di casa). Nel 2014 puntiamo a suonare in Europa, ed è un rammarico che solamente con il quarto disco saremo in grado di fare un vero e proprio tour al di fuori del nostro Paese. Grazie anche alla nuova etichetta, possiamo guardare all’Europa con dei progetti solidi ed importanti. Bisogna allargare, anche grazie alla nostra musica che è strumentale, i nostri orizzonti proponendo la nostra musica a nuovi mercati. Questo anche perché un panorama come quello italiano è ricco di limiti intrinseci, per cui, anche se sei una band del Nord, in molti preferiscono prendere e fare una data a Catania piuttosto che salire in Germania, ben più vicina dal punto di vista geografico. Inoltre molte band corrono il rischio di saturare il poco mercato che hanno, presentandosi magari per più volte nell’arco di pochi mesi nello stesso locale o nella stessa città, chiedendo magari un cachet insostenibile perché la gente non si presenta così numerosa. Nel nostro caso non saremo mai una band che potrà avere il pubblico di Vasco Rossi; certo, siamo noti e apprezzati, ma le cifre che siamo capaci di muovere sono purtroppo quelle, quindi devi inevitabilmente guardare almeno all’Europa.
Angolo revival: come vi siete sentiti a suonare davanti a 40000 persone, prima a San Siro e poi a Torino?
Mah? 40000? Se dobbiamo essere sinceri, la prima volta erano ventisettemila, a Torino poco più di diecimila. Più che altro, per noi è strano suonare in uno stadio: per la musica che facciamo, lo stadio non è il nostro habitat naturale, anche perché una location come quella richiede delle dinamiche di massa totalmente diverse. E’ stata un’esperienza bislacca, potrei riassumertela così. Come ci siamo sentiti? Chiaramente, appena sali sul palco, è inevitabile la sensazione di “cagarsi nei pantaloni”, ma è un sentimento che passa con l’avanzare del concerto. L’ansia dell’evento “grande” è una cosa relativa perché comunque suoni davanti ad una massa di persone. Mi preoccuperebbe di più suonare in un locale piccolissimo davanti ad una ventina di persone o in radio.. in uno stadio si disperde tutto, anche l’ansia. L’unica cosa per la quale devi stare attento in un evento di queste dimensioni è il non fare schifo, perché in contesti di questo tipo non ne usciresti vivo. Se dopo due brani il pubblico non ti gradisce sei finito, iniziano ad insultarti o magari ad urlare il nome dell’artista clou della serata fino alla fine del tuo concerto.. un po’ come successo qualche anno fa con le Vibrazioni che fecero da supporto agli AC/DC, che hanno un pubblico tutto fuorché moderato. Una cosa che è ancora più amplificata in Italia, dove il pubblico ha meno cultura e, soprattutto, pazienza per ascoltare nuova musica.