Gli Anthrax sono dei fottuti numeri uno, e lo confermano in quel di Roncade (primo show da headliner dopo un minitour con agli Slayer) all’interno dell’ultima parte di tour di supporto di “Worship Music”. Un New Age Club imballatissimo ha accolto Scott Ian e soci con un calore (e non solo a livello di temperatura) che nemmeno loro si sarebbero aspettati.
Partiamo dall’unica delusione della serata: la scaletta non è delle migliori, anzi, visto l’enorme repertorio in ballo vedere qualche clamorosa esclusione dalla conta finale (“Lone Justice”, “Be All End All” o una “Bring Da Noise”, per fare tre titoli a casa) fatta per far spazio ad una cover degli AC/DC buona solamente per fomentare i fan non può lasciare l’amaro in bocca. Per il resto non manca nulla: negli ottanta minuti di concerto infatti trova spazio il meglio di più di trent’anni di carriera e anche un paio di estratti dall’ultimo lavoro, con un ritmo tenuto altissimo dall’inizio (l’accoppiata “Among The Living” e “Caught In A Mosh” è stata da infarto) alla fine (concluso con i cori di “Antisocial”).
La band è invece in superpalla e l’impressione è che gli Anthrax del 2014 abbiano ancora tantissimo da dire. Perché sono stati capaci di spaccare anche con due turnisti bravi ma “fuori luogo”: il chitarrista Jonathan Donais, ex Shadows Fall, perché “troppo metallaro” in una band che 100% metal non lo è mai stata e Jon Dette, batterista famoso per i trascorsi negli Slayer, perché sostituire un gigante delle pelli come Charlie Benante è difficile per molti.
Chi si aspettava un nucleo storico sul viale del tramonto deve ricredersi: il trio Ian-Belladonna-Bello è ancora vivo e vegeto e più in forma di certi ventenni che bazzicano per le strade. Scott Ian si conferma il solito carrarmato macinariff e con un’attitudine che in molti hanno copiato (un Adam D dei Killswitch Engage si è ispirato moltissimo nei comportamenti sul palco a lui) negli anni. Joey Belladonna ha invece ripreso una forma vocale che nella prima reunion del 2006 non aveva (“Alive 2” docet), tiene ancora botta nel ruolo di frontman, fomentando i fan elargendo cinque alti alle prime file per più volte e gestendo con qualche sguardo un breve blackout audio occorso ad inizio encore, e si dimostra alla fine quello che nel progetto ci crede più di tutti. Il vero idolo, il patrimonio Unesco del gruppo, è però Frankie Bello: il bassista è l’anima pazza e la vera colonna portante della formazione, quello che si spara le pose una volta sì e l’altra pure, si spara tutti i cori, scapoccia dall’inizio alla fine e si improvvisa photobomber quando, durante “I Am The Law”, Belladonna si fa prestare la fotocamera da un fan per farsi dei selfie dal palco.
Ho aspettato dieci anni per vedere gli Anthrax dal vivo, due lustri nei quali la storia del gruppo è stata letteralmente stravolta per svariate ragioni. Però loro ci sono ancora: gli “sfigati dei Big Four”, quelli che “non arrivano dalla costa pacifica”, quelli “non puri” (ripeto: definire gli Anthrax una band 100% metal è troppo riduttivo) alla fine sono coloro che dimostrano uno stato di forma che in molti coetanei si sognano.
Scaletta Anthrax a Roncade
Worship
Among the Living
Caught in a Mosh
Got the Time
Indians
Hymn 1
In the End
Madhouse
Efilnikufesin (N.F.L.)
Fight ‘Em ‘Til You Can’t
T.N.T., Medusa
I Am the Law
Deathrider
Antisocial
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