At The Gates – At War With Reality

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Piccolo hint per i metallini che sono arrivati qui dopo aver ascoltato l’ultimo capolavoro di *mettinomedibandasteriscocoreacaso*. Avete presente quel sound? Bene, in Svezia lo fecero almeno vent’anni prima, before it became mainstream. L’album si chiamava “The Red In The Sky Is Ours”, uscì nel 1992 e lo rilasciarono gli At The Gates, cinque sbarbi scandinavi che rivoltarono come un calzino il metallo in meno di un lustro e gettarono le basi per le rendite di posizione di svariate band del Terzo Millennio. Gente che, mollata l’esperienza all’apice con “Slaughter Of The Soul”, prese e sparse il seme mettendo in piedi almeno altri due progetti seminali (The Great Deceiver e The Haunted). Ciò che fecero i Refused un po’ dappertutto pochi anni dopo.

(Chi sono i Refused? Beh, prendetevi a schiaffi e non preoccupatevi: Papà Castoro vi racconterà questa storia l’anno prossimo..)

Ha senso parlare del ritorno degli At The Gates a diciotto anni dall’ultimo capitolo? Nì. La notizia è comunque da prendere in maniera positiva: i litigi che portarono allo scioglimento sono rientrati, i regaz hanno fatto pace, torneranno in tour. Meglio vedere cinque scandinavi quarantenni che i Parkway Drive. Il punto è che “At War With Reality” suona come un compitino della madonna fatto per trovare un pretesto dignitoso per fare altri concerti e incassare due sporchi denari. Più che essere un disco che continua il discorso terminato anni addietro è figlio degli anni trascorsi tra la seconda metà degli anni Novanta e il primo decennio del Terzo Millennio.

“At War With Reality” ci porta in dote i fratelli Bjorler, che si riprendono lo scettro di grandi macinatori di riff dopo gli anni nell’ottovolante chiamato The Haunted, band che al metallo ha dato più delusioni che soddisfazioni. Ma soprattutto riporta in auge il talento di Tomas Lindberg, per chi scrive uno dei più grandi cantanti hard and heavy di sempre: il Tompa, dopo un decennio vissuto nell’ombra del recupero di progetti passati, prende l’esperienza dei The Great Deceiver, il progetto più valido nel quale è stato coinvolto, e la inserisce di giustezza nella matrice sonora degli At The Gates.

La marzialità della band di “Life Is Wasted On The Living” si sente in più brani di quello che non deve essere considerato come un “Slaughter Part 2”, anche perché a dirla tutta siamo quasi su territori più vicini a “Terminal Spirit Disease”, ma la summa dei precedenti tre lavori e di quanto fatto al di fuori degli At The Gates. Certo, inevitabile scadere nell’autocitazionismo quando hai dato la svolta ad un genere, al punto che il riff iniziale di “The Conspiracy Of The Blind” suona come un fan service a chi osanna ancora oggi “Suicide Nation”. Un disco che, sinceramente, nell’arco di un anno molto probabilmente verrà dimenticato ma che, ascoltato oggi, dà grandi soddisfazioni. Grazie per essere tornati, eddegheiz.

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