Il percorso intrapreso dai Fall Out Boy fin dall’inizio della loro carriera può essere definito tranquillamente come uno dei più coerenti nel genere pop punk. Partiti con l’irruenza della gioventù negli esordi (indimenticabile una “Saturday” presa dal debutto “Take This To Your Grave”), il quartetto si è pian piano evoluto in un gruppo capace di produrre un pop punk più maturo ed elaborato di quello partorito dalla concorrenza. Citiamo quattro singoli esemplari: “Dance Dance” è il filo rosso tra esordio e il percorso futuro, “This Ain’t A Scene It’s An Arms Race” è un crossover tra pop punk e beat hip hop, “Tnks Fr Th Mmrs” presenta azzeccati inserimenti di archi e “I Don’t Care” ha un mood da navigata band arena rock. Poi sono arrivati i side project (tra tutti i clamorosi The Damned Things), un “Save Rock And Roll” che nella sua varietà si è rivelato il capitolo più maturo della carriera e quel divertissement chiamato “Pax Am Days” che ha fatto sobbalzare gli appassionati dell’hardcore punk d’annata.
Tutto lo spiegone qui sopra per dire cosa? Che con “American Beauty / American Psycho”, ultimo capitolo del quartetto di Chicago, i Fall Out Boy vogliono staccarsi dalla mamma pop punk e diventare una band pop vera e propria, in un coerente percorso che ha portato a quello che si può definire come l’ultimo tassello di un puzzle iniziato una decina di anni fa. I Fall Out Boy del 2015 non sono più quelli del 2003: le chitarre ci sono ma più in secondo piano rispetto al passato, la matrice pop ha fagocitato quella rock. Sembra quasi che Pete Wentz e soci vogliano flirtare con le heavy rotation radiofoniche, con il risultato che questa fatica potrebbe essere scambiata in alcuni punti per l’ultimo lavoro dei Maroon 5, ugola di Patrick Stump inclusa.
E non è un male, perché la band di Adam Levine è oggi tra le band pop più valide in circolazione, e i Fall Out Boy hanno preso il buono dei californiani per far fare il salto alla loro proposta. Certo, questa scelta stilistica in più passaggi suona sfacciata (la melodia iniziale di “Centuries” è di fatto un plagio di “Animals”), ma il più delle volte ha portato a risultati positivi. Partendo dalla ritmatissima title track e arrivando a quella piccola gemma di “Immortals”, presente nella colonna sonora dell’ultimo film Disney “Big Hero 6”, i ragazzi non sbagliano un pezzo che sia uno. I coretti di “Irresistible”, “Favorite Record” e “Twin Skeleton’s” entrano in testa dal primissimo ascolto, “Uma Thurman” con molta probabilità sarà il prossimo singolo (e sicuramente sarà una carta vincente in sede live) e brani come “Jet Pack Blues” e “Novocaine” confermano che i Fall Out Boy nel songwriting hanno una marcia in più.
“American Beauty / American Psycho” è un disco che farà discutere: chi si aspettava un ritorno agli esordi rimarrà deluso, ma mai come chi si aspettava una svolta punk dopo l’ascolto di “Pax Am Days”. Il nuovo capitolo dei Fall Out Boy è invece il biglietto da visita per entrare nel redditizio mondo del pop, più volte accarezzato ma mai così palesemente abbracciato. Certo, Patrick Stump con 20kg in meno non si è trasformato in Adam Levine, ma non c’è nulla di negativo in questo cambio di stile, perché si parla di un piccolo capolavoro: ce ne fossero, di dischi pop così.