“2020 Speedball” dei Timoria compie vent’anni. Tanti auguri, mio disco preferito della band bresciana. Sì, per quanto mi riguarda meglio anche di quel capolavoro assoluto chiamato “Viaggio Senza Vento” uscito due anni prima, e anche meglio del tanto decantato “El Topo Grand Hotel”: ok, “Sole Spento” è un pezzo assurdo ma Sasha Torrisi e il suo sostituire un gigante come Francesco Renga mi ricorda troppo il percorso di un Blaze Bayley a caso che si è ritrovato, dal giorno alla notte, a sostituire Bruce Dickinson degli Iron Maiden.
L’importanza di “2020 Speedball” va oltre la qualità di brani come la cadenzata “2020” o la ballad “Senza Far Rumore”, e anche oltre al fatto che quando Omar Pedrini e soci potevano giocare la facile carta di una collezione di brani easy, hanno tirato fuori un LP che li vede spaziare dalle ballad (come la già citata “Senza Far Rumore”) al groove metal della parte finale di “Europa 3”. È semplicemente il testamento, il canto del cigno di una scena rock italiana mai così forte, che da quel punto inizierà un lento ed inesorabile declino; un’epoca nella quale gli italiani dominavano in patria ma anche all’estero: basti pensare a nomi come i Raw Power, che si trovarono in apertura nei loro show statunitensi gruppi come i Guns N Roses, o i Negazione, tra le più grandi hardcore punk band mondiali di sempre che tra gli anni Ottanta e i primi Novanta si fecero conoscere ovunque. Certo, ci sono stati grandi nomi anche in seguito: pochi anni dopo gli Afterhours rilasciarono “Hai Paura Del Buio?”, i Subsonica “Microchip Emozionale” e nel Terzo Millennio sarebbero saltati fuori artisti nuovi molto interessanti come Calibro 35, The Bloody Beetroots e Verdena. Ma la magia che si respirava alla metà degli anni Novanta resta ineguagliabile.
Non è una questione di nostalgia o del rimpiangere i bei tempi andati: semplicemente, nel 1995 molti gruppi, strombazzati anche ai nostri giorni, erano al massimo della forma. E, se si spazia sulle vedute più ampie del rock and roll, anche gruppi più “di confine” potevano vantare nel loro palmares dei dischi della madonna.
Partiamo dagli 883, lanciati da Cecchetto e interpretati da molti guardando il famoso dito del saggio che indica la luna: quelli dei primi dischi sono e restano una band clamorosa (li ha rivalutati persino Rockit, per dire) e il lato A del debutto “Hanno Ucciso L’Uomo Ragno” resta il tributo più grande che l’Italia abbia fatto ai Beastie Boys. Max Pezzali era ai vertici e in quell’anno pubblicò “La Donna Il Sogno & Il Grande Incubo”, uno degli ultimi full length di spessore al quale seguirà un capolavoro come “Gli Anni” e pochissimo altro. Sempre restando nell’orbita di Cecchetto, vale la pena menzionare Jovanotti: l’anno prima uscì “Lorenzo 1994”, quel disco che lo avrebbe fatto passare da rapper sfiga ad artista completo con pezzi come “Serenata Rap” e “Penso Positivo”. Ah, nel 1995 uscì anche “L’Ombelico Del Mondo”, masterpiece tricolore di world music. Serve altro?
Passando da un estremo all’altro, impossibile non citare gli Extrema, la band heavy metal italiana più famosa al mondo prima dell’avvento dei Lacuna Coil. Tommy Massara e soci ebbero l’onore di aprire la storica data dei Metallica allo Stadio Delle Alpi di Torino nel 1993, non a caso: lo stesso anno uscì il leggendario “Tension at the Seams“, e sti gran cazzi, quando sforni pezzi come “Join Hands”, “Child O’Boogaow” e “Life” vinci a prescindere. E vinci anche se confermi che non si era di fronte ad un fuoco di paglia, pubblicando quel “Positive Pressure (Of Injustice)” figlio del sound dei Pantera ma che riesce a stare in piedi da solo grazie a brani come “This Toy” e “Money Talks”.
Tra 883 ed Extrema si trovano invece tutte quelle sfumature più riconducibili ai Timoria. E nel 1995 i più grossi di tutti erano Vasco Rossi e i Litfiba di Piero e Ghigo. Il primo era ormai al suo canto del cigno, ad un passo tra l’ultimo grande disco (“Nessun Pericolo Per Te”) e l’arrivo di ciofeche come “Rewind” e la conseguente comparsa dei fan della domenica, affascinati più dai suoi “EEEEEH” che altro. Per i toscani, invece, la carriera era all’apice assoluto: anche per loro, da lì a poco, sarebbe arrivato “L’Esercito Delle Forchette” a sancire un verticale declino (aka “Infinito”) ma era uscito da pochi mesi “Spirito“, in canna avevano un frontman del calibro di Piero Pelù (che se fosse nato ad Hackney adesso sarebbe al pari di un Iggy Pop o un Mick Jagger) e un chitarrista come Ghigo Renzulli che, pur non essendo un virtuoso, ha azzeccato più melodie di navigati guitar heroes. Erano ancora super-amici, i dissidi di fine anni Novanta dovevano ancora presentarsi: chi li avrebbe fermati?
Il 1995 è stato anche l’anno della consacrazione definitiva di Ligabue con il suo quinto disco “Buon Compleanno Elvis“: un capolavoro assoluto, un classico del rock tricolore così importante al punto che lo stesso artista di Correggio ne pesca a man bassa nelle sue setlist dal vivo, con la consapevolezza di aver azzeccato il classico disco che capita una volta nella vita di decine di migliaia di gruppi. “Vivo Morto o X”, “Hai Un Momento Dio?”, “Certe Notti”, “Viva”, “Quella Che Non Sei”: Vasco Brondi e Kekko dei Modà venderebbero la madre pur di poter scrivere un brano di quel livello. Un album che se fosse stato cantato in inglese avrebbe venduto milioni di copie senza batter ciglio.
Per ora si è parlato solamente di big ma in quegli anni sono esplosi anche diversi gruppi emergenti che all’esordio hanno giocato la carta del gran disco.
Il primo esempio eclatante è quello dei Marlene Kuntz, che con il loro “Catartica” flirtano con il noise rock a stelle e strisce più di dieci anni prima del Teatro Degli Orrori e il loro mai nascosto matrimonio con i Jesus Lizard. Non da meno i Bluvertigo, che proprio nel 1995 debuttarono con il loro “Acidi e Basi“: il botto lo faranno con il successivo “Metallo Non Metallo”, grazie anche ad un megafono mediatico chiamato MTV (raro caso di disco di valore pompato meritatamente dai media), ma già dal primo disco si riusciva a intravedere che Morgan and friends avrebbero sfondato. Il terzo caso è quello dei Negrita, forse l’unico gruppo finora citato ad aver raccolto di più nel Terzo Millennio dal punto di vista artistico. Pau e soci sin dall’omonimo debutto si presentarono come una band capace di scrivere brani rock maturi e contaminati dal funk, ricordando quanto fatto dai Red Hot Chili Peppers ma non scadendo nel macchiettismo. Un’attitudine che emergerà successivamente, quando gli aretini faranno l’occhiolino a sonorità latine con risultati clamorosi.
Vent’anni fa la musica italiana se la passava benissimo: certo, i fenomeni da baraccone c’erano anche in quegli anni e se si guarda la classifica dei singoli, alle vette c’erano praticamente solo pezzi dance. Ma la scena rock italiana in quell’anno aveva moltissimo da dire: c’erano i nomi, i dischi di qualità arrivavano uno dietro l’altro e le minori opportunità spinsero gli artisti a pubblicare solo il meglio. Tre caratteristiche, soprattutto l’ultima, che hanno al contrario portato ad un 2015 saturo di offerta ma dalla qualità fin troppo bassa.