Rise Against, “The Black Market” raccontato da Brandon Barnes

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Il ritorno discografico dei Rise Against è ormai consolidato: “The Black Market“, ultimo capitolo in studio del quartetto statunitense, è nei negozi dallo scorso luglio e ha raccolto in questi mesi importanti traguardi, come ad esempio la Top 20 nelle classifiche di vendita in Stati Uniti, Canada e Regno Unito.

Ma è nei live che Tim McIlrath e soci hanno ottenuto i risultati più sorprendenti: ottime affluenze e un tour nelle arene in Germania andato tutto esaurito per ogni data. In occasione del loro concerto al Velodrom di Berlino dello scorso 20 novembre (guarda foto e report del concerto), abbiamo incontrato il batterista Brandon Barnes per parlare non solo di attualità, ma anche di progetti futuri. Che, purtroppo, non dovrebbero vederli in Italia nel loro prossimo tour europeo in programma a giugno e luglio.

“The Black Market” è un nuovo capitolo nella vostra carriera. Quali sono le differenze nel lavoro in studio tra questo album e il debutto “The Unraveling”?
Le differenze tra “The Black Market” e “The Unraveling” sono drastiche, anche solo per il fatto che sono passati quindici anni, e il modo di lavorare è diverso anche tenendo conto che tre membri su quattro (io, Tim e Joe) sono parte dei Rise Against sin dall’inizio. Certo, io sono entrato successivamente alla formazione: ricordo ancora che mi arrivò il primo demo per le audizioni e le mie parti erano registrate con una batteria elettronica. A parte questo aneddoto, tra il 2000 e oggi sono cambiate molte cose: di sicuro abbiamo un migliore approccio nel lavoro in studio e siamo anche migliorati come musicisti. Quindici anni di Rise Against sono stati una continua evoluzione: abbiamo scritto negli anni differenti tipi di musica, una costante evoluzione e crescita di una band che vuole cambiare e migliorare con il tempo.

Come hanno accolto i vostri fan e i media questo lavoro?
Molto bene. Soprattutto in Germania abbiamo ottenuto dei risultati che non ci saremmo mai aspettati: veniamo da un minitour sold out in ogni data e questa sera suoneremo davanti a 9000 persone. I nostri fan tedeschi sono i più calorosi e fedeli che abbiamo in giro per il mondo: non è un caso il vederci suonare in venue più capienti di quelle, ad esempio, del Regno Unito, dove la più grande è la Brixton Academy di Londra. Al di fuori dell’Europa il disco è stato accolto bene anche in altre nazioni come, ad esempio, Australia, Canada e Stati Uniti.

Avete registrato “The Black Market” in Colorado con Bill Stevenson e Jason Livermore dei Descendents. Poiché ci lavorate insieme dai tempi di “Revolutions per Minute”, possiamo considerarli il quinto membro dei Rise Against? E hanno voce in capitolo nella stesura dei pezzi?
Sì, Bill e Jason possiamo ormai considerarli il quinto e il sesto componente dei Rise Against. Sono grandi musicisti e membri di una delle più leggendarie punk rock band di sempre. Un talento che mi affascina di loro due è che, venendo dalla vecchia scuola e avendo vissuto l’underground, sanno da subito l’obiettivo che vogliamo raggiungere con la nostra musica. Ci lasciano mano libera nella scrittura dei pezzi ma, nel momento che entriamo in studio, soprattutto Bill è pronto a dare dei consigli su come registrare una particolare parte o su come migliorare qualche passaggio. Abbiamo lavorato con loro per tanti anni, ormai sono parte del team.

Venite da diverse parti degli Stati Uniti: Tim e Joe vivono in Illinois, tu in Colorado e Zach in Texas. Come fate a gestire queste distanze?
Nel mio caso il problema della distanza è emerso negli anni successivi alla nascita dei Rise Against: ai tempi dei primi dischi, infatti, abitavo a Chicago e mi trovavo quasi ogni giorno con Tim e Joe. Poi, dopo il matrimonio, mi sono stabilizzato con la mia famiglia in Colorado. Trovo sia una cosa positiva quella di ritagliarsi i propri spazi privati dopo un lungo tour (anche se ci troviamo già qualche settimana prima per fare le prove) o dopo la registrazione di un disco.

Suonerete una setlist nella quale la prima parte della vostra carriera trova poco spazio. Perché questa scelta? Siete arrivati ad un punto della vita che alcuni pezzi non li “sentite” più vostri?
No no, i pezzi dei nostri primi dischi ci piacciono ancora un casino. Semplicemente, quando ci sediamo attorno al tavolo per stilare la setlist, teniamo conto anche dei pezzi preferiti di chi ci verrà a vedere. Sfortunatamente, molti dei nostri fan dell’ultima ora non hanno mai sentito pezzi dei primi due album. Se inizi a fare una setlist infarcita di materiale degli esordi, o magari proponendo delle b-sides dalla raccolta “Long Forgotten Songs” che personalmente adoro, corri il rischio che la gente che è presente al tuo concerto ti guardi spaesata, chiedendoti quale pezzo stai suonando. Il concerto di stasera presenterà qualche chicca: infatti inviteremo sul palco i componenti dei Pennywise per suonare insieme un paio di cover dei Ramones.

Quali sono i piani per il 2015? Tornerete in Italia?
Il piano è quello di replicare il tour di queste settimane, che sta andando alla grandissima e ci sta dando grosse soddisfazioni, sia per le nostre performance che per le affluenze di pubblico. Il ritorno in Europa è sicuro, faremo una serie di festival che ci terrà impegnati per più di un mese: suoneremo al Rock Am Ring e Rock Im Park e saremo anche al Download. Se torneremo in Italia? Fosse per me di sicuro, ma ad oggi non posso darti una conferma definitiva.

Alcuni giorni fa Bob Geldof ha dato seguito all’esperienza del 1984 di “Do They Know It’s Christmas?”, reclutando artisti contemporanei per raccogliere fondi per supportare le vittime dell’Ebola in Africa. Visto il vostro coinvolgimento nelle attività di PETA, non avete mai pensato ad incidere un brano per beneficienza?
Come già sai, siamo coinvolti da sempre nelle attività di PETA, che siano conferenza, raccolte fondi o semplicemente attività per dare consapevolezza agli altri dell’importanza dei valori etici che animano l’organizzazione. Continueremo a lavorarci in futuro, ma credo che un Band Aid per supportare le attività di PETA sia un progetto un po’ difficile da realizzare. Più facile un concerto o un evento di qualche tipo, ma sarebbe un qualcosa da creare da zero.

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