Molte volte ci hanno raccontato la favola che questa o quell’altra band sono “le nuove promesse del rock internazionale”. Alcune volte i media c’azzeccarono (negli ultimi dieci anni, per fare tre nomi a caso, Arctic Monkeys, The Black Keys e Mumford And Sons), altri fecero semplicemente flop o si ritrovarono a lanciare gruppi poi rivelati sopravvalutati (niente lista: i nomi sarebbero troppi). Se le premesse gettate in questo disco omonimo dovessero venir confermate, i Brother And Bones entrerebbero di diritto nel gotha che annovera artisti come Alex Turner, Dan Auerbach e Marcus Mumford.
Sì, perché “Brother And Bones” è quel raro debutto nel quale già al primo ascolto si respira l’aria del classico. Con una matrice folk rock molto presente, gli inglesi aggiungono ad una formula fin troppo abusata in questi anni l’irruenza del punk e l’epicità dell’arena rock, creando una miscela destinata a sfondare nei mercati internazionali e ad arrivare fino ai nostri palasport e, spariamo alto, a palcoscenici come Glastonbury. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a questo esaltante mix musicale e agli intrecci vocali nei quali emerge la voce di Richard Thomas, come non si può passar sopra a tracce del calibro di “Kerosene”, “To Be Alive”, la già nota “For All We Know” (la title track del loro primo EP con un ritornello che entra in testa già da subito) o una “Why Be Lonely”. Per non citare “Omaha”, primo singolo e uno dei brani che entra di diritto in un Greatest Hits rock dell’anno in corso.
Alcuni magazine britannici hanno descritto di Brother And Bones come “i nuovi Pearl Jam”. Giudizi affrettati, visto che per vedere realizzate certe affermazioni bisognerà aspettare almeno un lustro, ma l’unica cosa certa è che grazie alle giuste referenze (sono stati in tour con Feeder, Paolo Nutini e Ben Howard) e a un debutto clamoroso, la band britannica è destinata a diventare uno dei nomi più caldi del rock internazionale già nei prossimi mesi. Non perdeteveli.