Se la notizia fosse stata diffusa venerdì, il primo di aprile, in molti avrebbero fatto spallucce, ma visto che l’amo è stato lanciato pochi giorni dopo si può iniziare a sognare la tanto attesa reunion live tra i Bee Hive e Cristina D’Avena. Per ora è successa solamente su Canale 5, all’interno del format Domenica Live, ma se le cose dovessero andare come DEVONO andare, si parlerebbe di un evento che riempirebbe tranquillamente i palasport di tutta Italia, con risultati che potrebbero far impallidire nomi come Tiziano Ferro ed Eros Ramazzotti.
Boutade per fare qualche clic in più? Postumi da pranzo domenicale? No, non nascondetevi persone nate prima del 1985: mentre ad un Millennial medio una news del genere potrebbe far ridere, o perlomeno portarlo a chiedersi chi cazzo sono sti Bee Hive (e qua facciamo parlare Oscar Giannino al posto nostro), molti trentenni inizierebbero a fare F5 su Ticketone il giorno dell’annuncio, che darebbe un seguito a quella reunion “a metà” avvenuta nel 2011.
Le 200 mila copie del disco di debutto “Kiss me Licia e i Bee Hive” parlano da sole: numeri ridicoli nel panorama internazionale ma che, in un mercato come quello italiano che non è mai stato caratterizzato da grandi vendite, rendono l’idea della portata di questo fenomeno di costume nella cultura pop di quegli anni. Figuriamoci oggi, anni nei quali con quelle vendite sarebbero tranquillamente al quarto disco di platino (!!!).
Il successo dei Bee Hive è una combinazione di almeno tre fattori. Prima di tutto la spinta data dalla serie televisiva, inserita all’interno del format Bim Bum Bam ai tempi seguitissimo dai ragazzi che, al contrario di oggi (tra Boing, Cartoonito e simili un Millennial potrebbe tranquillamente vedersi cartoni animati 24/7), avevano solamente quella finestra temporale per guardare le trasmissioni dei loro beniamini.
Il secondo è la presenza di grandi brani nel loro repertorio, che cavalcava l’onda del pop rock tanto in voga in quegli anni. “Freeway”, “Baby I Love You”, “I Need Your Love” (che Calvin Harris si sia ispirato alla loro opera per l’omonima canzone) non avrebbero sfigurato nel repertorio di band più navigate e hanno permesso di sdoganare un minimo anche in Italia un certo approccio nipponico al rock (quello vero, no rumentate come le Babymetal che vanno bene giusto per la lol).
Il terzo lo anticipiamo con una foto:
(grassetto, carattere più grande e caps lock voluto)
Sì, perché il buon Pasquale Finicelli non faceva altro che fare il lip sync con la voce di, per chi scrive, uno tra i simboli del rock nazionale. Un cantante che, se fosse nato nel Wisconsin, avrebbe tranquillamente sostituito quel cartonato di Robert Tepper nella colonna sonora di Rocky 4 o, nella migliore delle ipotesi, sarebbe entrato nella lineup dei Toto ai tempi della defezione di Bobby Kimball.
Un artista sottovalutato, nato nel 1952 in quel dormitorio di casalinghe chiamato Voghera che ha dato i natali a quella che è una delle voci più riconoscibili del nostro Paese, e relegato/sprecato a sorpresa in quel giardino dorato delle sigle di cartoni animati per bambini, a conferma che il nostro mercato discografico ragiona con logiche tutte sue: dai un contratto discografico a gente come Il Cile e fai scrivere i pezzi dello Zecchino D’Oro a chi canta la sigla de “I 5 Samurai“, “Beetleborgs“, “Street Sharks” e la migliore sigla in italiano di “Lupin III” (perché con quel cartone Tommy Snyder e la sua “Super Hero” vincono senza riserva).
Boh, qui la fotta si sta facendo forte. Speriamo che tutto vada in porto e che, nel progetto, rientri anche Marco “il John Taylor dei Navigli” Bellavia. Sarebbe tranquillamente l’evento dell’estate 2016.
Ah, gira voce che per il catering nel backstage sia stato già imposto un piatto unico, altro che le magliette nere di H&M volute da Steve Aoki..