Colpo di coda per il tour di supporto a “Maximilian”, l’ultimo album di Max Gazzè che in un anno ha ottenuto ampi consensi da parte di stampa e pubblico. L’artista romano, reduce da un tour mondiale tra Nordamerica, Europa ed Asia, torna in Italia per chiudere con due concerti-evento a Roma (27 ottobre, Palalottomatica) e Milano (29, Forum di Assago).
In occasione delle ultime date del tour, rispolveriamo una breve chiacchierata fatta con il cantante-bassista in occasione del suo concerto all’Home Festival di Treviso, una delle ultime tappe della sua leg estiva, tra bilanci sull’anno appena trascorso e la consapevolezza di essere un “turista del mainstream”.
Come ti stai preparando al tour mondiale?
È un bell’impegno quello che sta per arrivare, non è la prima volta che andrò in Europa, l’ho fatto per tre volte e sono state tutte bellissime esperienze. Questa volta però andrò a suonare anche nel resto del mondo, parto nel Nordamerica, Stati Uniti e Canada, per poi andare in Cina, Giappone. Negli Stati Uniti farò sei concerti, tra cui un concerto al Whisky a Go-Go, al quale ci tengo perché qui ha suonato la storia della musica contemporanea: tanti gruppi, tante band, un locale storico di Los Angeles. Sarà una bellissima sensazione salire su questo palco calcato da grandissimi artisti.
Te lo aspettavi di raggiungere questo traguardo dopo un disco come “Maximilian”?
Non ci penso a queste cose, onestamente… Non mi aspettavo nulla, quando faccio le cose mi focalizzo sul senso che voglio dare al disco che sto facendo. Poi dopo, senz’altro, ero consapevole di fare un percorso più pop, quando in molti si sarebbero aspettati un qualcosa di più sperimentale con questi sintetizzatori. Il titolo “Maximilian” nasce dall’idea di questo alter ego che avrebbe dovuto comporre un disco di musica sperimentale parallelo, con sintetizzatori e musica sinfonica. Avevo anche delle canzoni in cantiere e, registrato il tutto, ho pubblicato l’album lo scorso settembre. Dopo un anno posso constatare che è stato un disco di grande successo, non solo per i singoli che hanno goduto di un airplay radiofonico molto importante, ma anche perché questo disco volutamente pop rispetto al passato è stato fatto con la consapevolezza precisa di fare pop in un certo modo, usando sonorità particolari, suonando gli strumenti veri e non ricorrendo a synth virtuali, ottenendo un suono che ricorda gli anni Settanta ma che si lega alla tradizione pop degli anni Ottanta, con strumenti vintage e compressori valvolari. Quindi sono contento del risultato ottenuto e del fatto che in molti abbiano apprezzato il disco. Certo, guardo sempre avanti: non mi aspettavo nulla, tantomeno questi risultati straordinari. Ma sempre con i piedi per terra, e pronto a guardare oltre questo momento.
In passato hai affermato di sentirti meno popolare delle tue canzoni. Questa frase è da prendere come un complimento o una critica?
Sai, quando arrivi al punto di fare un videoclip come “La vita com’è” che, in poco tempo, raggiunge 25 milioni di visualizzazioni capisci che il brano ha raggiunto un target diverso, un target da “rapper” più che da cantautore. Per questo penso che in realtà sono un vero e proprio turista di questo status mainstream, per questo ho affermato quella frase in passato. Le mie canzoni hanno goduto negli ultimi mesi di una grossa esposizione mediatica e di una certa popolarità, ma il musicista Max Gazzè non ha… Magari semplicemente non me ne rendo ancora conto, forse non ci faccio caso, non ci penso più di tanto. Però noto che le mie canzoni hanno un grande successo, forse per questo mi sento un po’ distaccato, un turista di tutto questo.
A bocce ferme, come descriveresti il tuo periodo con Fabi e Silvestri, con i quali hai inciso un disco e fatto un tour?
Ci chiamavamo “Il grande Uno”: eravamo in tre ma ci sentivamo come un’unica entità. Quello è stato un po’ il nostro motto per tutta quella parentesi. E’ stata un’esperienza bella perché prima di tutto è stata onesta. Non è nata da spinte da parte delle case discografiche di fare un supergruppo: ci siamo semplicemente visti a cena e abbiamo deciso di scrivere qualcosa insieme. Ci siamo trovati a casa mia, a casa di Daniele e abbiamo cominciato a lavorare ai pezzi come una band agli esordi, che si trova in cantina con chitarra, basso e pianoforte. Non abbiamo coinvolto produttori esterni e, come detto prima, neanche le case discografiche. Anzi, per la prima volta abbiamo fatto lavorare insieme case rivali come Sony e Universal che, dopo quest’esperienza, hanno continuato a collaborare per cercare di risolvere i problemi della discografia contemporanea. Con loro siamo stati molto schietti: abbiamo detto “stiamo lavorando a questo progetto, vedete voi come fare, tanto la facciamo e quindi vi conviene mettervi d’accordo”.
A questo punto è entrata in gioco un’agenzia per la produzione live per i quali, nei piani iniziali, ci saremmo dovuti limitare ad un tour nei club ma che poi, in poco tempo, è arrivato ai palazzetti e all’Arena Di Verona. Beh, se un anno prima ci avessero detto che avremmo suonato lì, ci saremmo fatti due risate. Invece, la riempimmo e fu una serata splendida anche per il tempo che ci graziò: piovve fino a pochi minuti prima del concerto, l’Arena era comunque piena e durante il concerto non cadde una pioggia. Anzi, per qualche minuto ci fu anche la luna in cielo. La prima goccia d’acqua cadde dopo aver suonato l’ultima nota. Dal punto di vista artistico-creativo sarà un’esperienza che ricorderò per tutta la vita, come non dimenticherò questi momenti dal punto di vista umano: abbiamo fatto in modo di estrapolare il meglio di ognuno, spronandoci a vicenda. E il tutto con una consapevolezza: che avrebbe avuto una scadenza.
La cosa divertente è che i dischi pubblicati dopo questa esperienza è come se fossero nati grazie al fatto che ognuno ha tirato fuori la parte inedita spinto dagli altri due, una cosa più istintiva. Il mio disco è stato un capitolo pop, le cose più poetiche sono arrivate da Niccolò, mentre Daniele è stato così cervellotico da scrivere 200 pezzi e non sapere cosa inserire fino all’ultimo, modificando i brani fino all’ultimo secondo.