I Litfiba dovrebbero solamente fare tour, punto. La formula nostalgia, prima nella reunion della Tetralogia degli elementi poi con il tour incentrato sul repertorio anni Novanta, è funzionata alla grandissima; non si può dire altrettanto degli album nati dopo il ritorno di Piero Pelù nella band, la cui qualità viaggia tra l’indifferente e il clamoroso disastro, aria che si respira anche in questo ultimo “Eutòpia”.
Non dico che bisogna rimpiangere il buon Cabo o i tempi di “Infinito”, disco che aveva come sottotitolo “volevamo vendere un botto di copie con l’ultimo treno utile“, ma con “Eutòpia” si è di fronte ad una band stanca e con la voglia pari a zero. Peggio: i due leader riescono a farsi fagocitare dai loro stessi topos, che qui emergono con tutti i positivi e negativi del caso. I testi confermano la natura di uomo di protesta di Piero Pelù, che mai come su “Eutòpia” cade trappola delle sue vocali allungate. Ghigo Renzulli, invece, riesce a scrivere qualche ottimo riff (“Dio Del Tuono”, “Gorilla Go”, “In Nome Di Dio”), ma non riesce a schiodarsi da quella formula canzone che si porta dietro ormai da più di vent’anni. Come se non bastasse, i due scelgono una produzione che mette in primissimo piano i loro ruoli, penalizzando gli altri musicisti, tra cui l’ottimo lavoro di Luca Martelli alla batteria che sull’album esce ridimensionato.
“Eutòpia” è una perfetta comfort zone cucita ad hoc per i fan dei Litfiba degli anni Novanta, l’era del successo commerciale ma comunque capace di coniugare le copie vendute ad una certa qualità dei pezzi. Questo ritorno nel Terzo Millennio si colloca sul livello dei due più recenti studio album, suonando come un semplicissimo pretesto per tornare in tour. Troppo poco per chi si (auto)professa un ragazzaccio o un maledetto.