Partiamo da una doverosa premessa: “Gimme Danger” non è un documentario sulla vita di Iggy Pop ma il miglior testamento che si possa avere sugli Stooges. Non aspettatevi approfondimenti sulla sua parentesi berlinese, sull’amicizia con David Bowie (che qui comparirà come importante figura per la registrazione del terzo lavoro “Raw Power”) o le numerosi collaborazioni da lui fatte tra gli anni Ottanta e Novanta: il film è il perfetto omaggio a quella band che, insieme a poche altre, riuscì ad anticipare quello che poi sarebbe diventato negli anni successivi il punk, la new wave o l’heavy metal.
A dirigere il tutto il regista Jim Jarmusch, tra i più affermati della scena indipendente che porta il suo contributo da fan in “Gimme Danger”. Un approccio che è necessario, perché per narrare la storia de “la più grande rock and roll band di tutti i tempi” il materiale disponibile non è granché. Tolte le riprese live del Terzo Millennio, infatti, il materiale risalente agli anni Settanta è purtroppo raro e in alcuni casi di pessima qualità. L’impronta di Jarmusch è forte, con la sua attitudine da cineasta indipendente, ma si piega da subito alle voci narranti di Iggy Pop e degli altri componenti che narrano in quasi due ore la nascita, lo scioglimento (temporaneo) e la reunion dei The Stooges.
Viene dato ampio spazio agli anni precedenti alla pubblicazione dell’omonimo debutto e qui trova spazio anche la prima parte di vita di James Osterberg, con aneddoti che servono più che altro a contestualizzare quel Michigan nel quale nacque la band nella seconda metà degli anni Sessanta. Ex batterista di talento cresciuto nei dintorni della città di Ann Arbor, fondò la prima lineup insieme ai fratelli Scott (batterista) e Ron Asheton (chitarrista) e il bassista Dave Alexander. I primi anni furono caratterizzati da vita in comune, vivevano da comunisti condividendo soldi e casa ma ritenevano il movimento hippie, in voga all’epoca, come un qualcosa costruito a tavolino dalle case discografiche.
Questo desiderio di andare oltre, volendo fare con la loro musica per i bianchi quanto riuscirono a fare i neri con il soul, unito a delle performance live che presentavano un sound della band già ben definito e considerato all’avanguardia per l’epoca fecero crescere il nome del gruppo nel giro di pochi mesi, grazie anche al provocatorio carisma di Iggy Pop. A far fare loro il salto definitivo di qualità l’aver conosciuto gli MC5, altra band seminale proveniente dal Michigan e tra i precursori del punk, con i quali ebbero la possibilità di condividere un palco. I live con la band di “Kick Out The Jams” permisero loro di ottenere il primo contratto discografico con Elektra che, nel 1969, pubblicò il loro disco di debutto. “The Stooges” fu oggetto di un lavoro di produzione travagliato: dai pochi pezzi di durata media di dieci minuti si passò alla scaletta che tutti conosciamo, con buona parte delle canzoni scritte nell’arco di poche ore al Chelsea Hotel di New York, tra cui una “Not Right” che venne completata in sala di incisione. Ampio spazio anche alle registrazioni dei successivi due capitoli, quel “Fun House” registrato a Los Angeles che vide l’ingresso in formazione del sassofonista Steve Mackay, e “Raw Power“, terzo lavoro che vide alla chitarra quel James Williamson che sarebbe stato fondamentale per la seconda reunion, quella arrivata dopo la morte di Ron Asheton, e la prima fase della carriera solista di Iggy Pop, qui appena accennata.
“Gimme Danger” è una vera e propria raccolta di aneddoti, molti dei quali arrivano dalla stessa bocca di Iggy Pop. Tra tutti vale la pena di ricordare quello del 1970 quando, nel tentativo di fare il primo stage diving sul pubblico, si ritrovò a sbattere con i denti sul pavimento rompendoli o la lista dei ringraziamenti in occasione dell’ingresso nella Rock And Roll Hall Of Fame, proposti nella sua interezza nella parte finale del film.
“Gimme Danger” è, infine, il miglior omaggio che si sia potuto fare ad una delle band più sottovalutate della musica contemporanea. Ignorata all’epoca, la musica dei The Stooges venne scoperta e tributata da fan e musicisti negli anni successivi, facendoli diventare uno dei gruppi più influenti di sempre. Un documentario che non mette al centro dell’attenzione la sola figura più iconica, Iggy Pop, ma anche tutti gli altri componenti della band: a testimonianza di ciò, il tributo ai tanti membri deceduti nel corso della pellicola e, soprattutto, la dedica finale prima dei titoli di coda.