Ha ancora senso parlare di musica al Coachella?

Penso sia la prima volta, da quando il Coachella viene trasmesso in diretta streaming, che non riesco a godermi un po’ di musica in diretta dall’altro angolo del mondo, in California. Ero a Firenze, città nella quale ero stato più volte ma mai per un paio di giorni fatti bene. Nessun problema, prima di tutto perché il prossimo weekend si terrà la replica, quindi se voglio vedermi il Poeta Bernard Sumner e i suoi New Order posso replicare senza alcun problema (furbi questi californiani, fanno una replica così fanno doppio sold out, chiamali scemi); secondo perché ormai c’è Internet e se vuoi leggerti qualche opinione per capire che video tra le esibizioni indimenticabili ti devi guardare almeno hai un punto di partenza (si parla pur sempre di una lineup con almeno una quarantina di band al giorno, tempo libero per guardarmi più di cento concerti, onestamente, non ne ho).

Certo, questo nel famoso magico mondo fatato, dove la stampa parla di un festival prettamente dal lato musicale. Ormai il Coachella, da qualche anno, è equiparabile più ad una Settimana Della Moda di Parigi che ad un Glastonbury, visto che a fare notizia sono più gli outfit delle star che gli artisti in sé. In rapida successione, in una veloce rassegna stampa del lunedì pomeriggio del Coachella 2017 ho capito che:
Rihanna ha indossato un outfit che sembra uscito dal Superclassifica Show di Seymandiana memoria
– Chiara Ferragni ha indossato una tshirt dei Motley Crue e si è portata le sorelle in gita premio, tirando fuori l’italianità peggiore
Selena Gomez ha fatto coppia con The Weeknd
Vanessa Hudgens gioca un altro campionato
un furbo ha rubato iPhone dimenticando di spegnerli
un genio si è presentato vestito da capra
lo stile hippie con i soldi di papà regna ancora sovrano

Musicalmente, tolto un inedito di Lorde, i problemi tecnici dei Radiohead e un concerto clamoroso di Hans Zimmer, calma quasi piatta. Qualche articolo di settore, una column del Guardian, stop. Gli artisti passano in secondo piano per dare spazio a quello che sembra più un catalogo primavera-estate di Asos. Al che la domanda sorge spontanea: ha ancora senso parlare di musica quando si discute del Coachella?

Il Coachella ormai gode di uno status a sé, un po’ come il metallaro Wacken che fa sold out ancora prima che venga annunciata la lineup. Il che è positivo, perché significa che gli organizzatori in poco più di un decennio sono riusciti a costruire un brand dal potenziale finanziario clamoroso. Ormai il festival, che tecnicamente è un “Music And Arts Festival”, si sta sbilanciando fin troppo sull’Arts, mettendo in secondo piano il lato musicale, che punta più su una manciata di nomi assurdi non controbilanciati da una lineup degna. Inoltre, come detto da alcuni maligni, pare che vengano regalati biglietti a molte modelle solo per entrare a far parte del book fotografico, in un meccanismo che ricorda moltissimo quello delle ragazze immagine nelle discoteche; si fanno il weekend spesate in California, si divertono, fanno i selfie, cazzomene se ci sono i New Order. Con il risultato che il commento che sorge spontaneo dopo la lettura di articoli sull’argomento è se dietro le quinte c’è quel dio dorato di Gianni Giudici:

https://www.youtube.com/watch?v=9USzAcw8XBI

Il punto è che il Coachella ha tralasciato da molti anni il capitolo musica. Certo, ogni anno ci sono tre headliner enormi e almeno un’altra manciata di band meritevoli, ma per il resto è una desolazione che, per un appassionato, non giustifica l’oneroso prezzo del biglietto. Da questo punto di vista, i festival europei dimostrano di essere più sul pezzo, presentando delle lineup gigantesche e location non con lo stesso clima favorevole ma non meno affascinanti. E per non scomodare i colossi britannici (Glastonbury come band in cartellone ogni anno vince su tutti, con Reading And Leeds poco dietro), basti pensare agli iberici Primavera Sound e Benicassim, oltre al Rototom Sunsplash, per farsi un’idea che da questo punto di vista il Vecchio Continente è ancora la piazza migliore.

La concorrenza però inizia a farsi agguerrita anche in Nordamerica, con il Bonnaroo che è da anni il riferimento massimo per quell’area e con il newyorkese Governors Ball che, entrato in orbita Livenation da un paio di anni, ha le carte in regola per diventare l’evento top in ambito Statunitense nell’arco di pochi anni. Il rischio è quindi che, appena inizierà a diventare di moda farsi i selfie da Randall’s Island Park con vista skyline di Manhattan, magari con quel fanghetto che fa tanto Woodstock 1969, il fenomeno Coachella si possa sgonfiare, svelando quello che può essere definito un bluff.

Coachella come Glastonbury? Chi fa questa affermazione non ha ben chiaro in testa cosa significa un festival musicale, per quanto mi riguarda. Partito con ottime intenzioni, la rassegna californiana si è ormai piegata ad un format ad uso e consumo dei social media, dove conta di più l’apparenza che il lato artistico. La cosa preoccupante è che questa scelta sta funzionando alla grande, e del Coachella ne parla tra un po’ anche il mio nipote che ha 12 anni e non è mai uscito dal Triveneto. Ecco, forse sono io a non aver capito nulla di come devono andare le cose…

Cover story: Copyright Goldenvoice, Courtesy of Coachella