Paul Weller, tornato in questi giorni con il nuovo lavoro “A Kind Revolution”, è l’uomo che ogni donna vorrebbe avere al suo fianco e, per assurdo, l’immagine alla quale vorrebbero ambire buona parte dell’emisfero maschile: stiloso anche con una t-shirt di H&M da dieci euro, fu tra i fautori del revival mod, fece parte di due band clamorose (gli Style Council e i The Jam) e da quasi trent’anni si è costruito una carriera solista praticamente inattaccabile e priva di scivoloni. Con l’ultimo lavoro, la star di Woking prende una strada coraggiosa, a metà tra la sperimentazione e il classico, sfornando di fatto uno dei migliori capitoli della sua carriera.
Con “Woo Sè Mama”, un brano perfettamente confezionato ed evergreen già al primo ascolto, Weller inizia un viaggio in tutti i generi musicali che ha esplorato nella sua quarantennale carriera, iniziata nel 1997 con “In The City” dei The Jam. Funk, soul, dub e rock si fondono all’interno dei dieci pezzi di un album indimenticabile e destinato a farsi vedere nelle posizioni alte delle classifiche di fine anno. Non c’è un pezzo sbagliato neanche a morire, e le illustri collaborazioni di Robert Wyatt (“She Moves with the Fayre”) e Boy George (“One Tear”) completano alla perfezione il tessuto sonoro di Weller in quello che è un lungo viaggio nella sua carriera. Il meglio arriva dalla parentesi folk finale, dove “Satellite Kid” e “The Impossible Idea” ricoprono il ruolo di perfetta chiusura del disco.
La rivoluzione prospettata dal titolo del disco di ritorno di Paul Weller non è lo stravolgimento della musica. Anzi, per i fan della star britannica si è di fronte ad una vera e propria comfort zone. Il punto è che è così confezionata in maniera eccellente e con una qualità clamorosa che parlare di capolavoro è tutto fuorché riduttivo. Disco dell’anno? Forse è ancora presto per parlarne, ma uno spazio nel taccuino lo ha già trovato.