Slowdive – Slowdive

In molti non si sarebbero aspettati una decina di anni fa il ritorno degli Slowdive, la band capitanata da Neil Halstead e dalla fatina dello shoegaze Rachel Goswell, con un disco omonimo. Certo, dopo il reunion tour di qualche anno fa lo studio album era questione di poco tempo, un po’ come fecero non molti anni fa i contemporanei My Bloody Valentine che tornarono prima sui palchi e poi nei negozi.

Il punto è che se il ritorno è un’operazione nostalgia, peraltro fatta male, forse era meglio limitarsi ai live come fecero, ad esempio, i Pavement e i Jesus Lizard. “Slowdive” è un album uscito fuori tempo massimo che riprende a malo modo il discorso interrotto con “Pygmalion”. Quella che più di vent’anni fa fu una proposta innovativa e rivoluzionaria (nessuno fece quel tipo di musica prima di loro), oggi viene riproposta senza quel tocco di classe di chi ha contribuito a creare un genere. Il risultato è che i brani presenti in questo lavoro suonano troppo simili a quelli di band, nate successivamente, che dal combo di Reading hanno scippato a man bassa, costruendosi la carriera sulle loro spalle.

Manca del tutto quel quid creativo che li ha contraddistinti nella prima metà degli anni Novanta, con la conseguenza che lo spettro dell’autoreferenzialismo aleggia durante tutto l’ascolto. Il risultato è un lavoro stanco, privo di spunti interessanti e di brani che non reggono il confronto con il passato. In poche parole: se avete già i lavori precedenti, “Slowdive” potete tranquillamente lasciarlo sullo scaffale.