Di base, gli Enter Shikari hanno sempre fatto quello che hanno voluto, e l’ultimo “The Spark” non si discosta dal percorso artistico intrapreso dai britannici fin dal loro esordio. Se si dovesse utilizzare una parola per descrivere la loro musica, “caleidoscopio” sarebbe quella più vicina alla realtà; oppure, se proprio dobbiamo incasellarli in un genere, “electronicore” è quell’etichetta che puoi appiccicare sopra agli Enter Shikari e cercare di fare la quadra.
La band capitanata da Rou Reynolds non è quella che si culla sugli allori come molte altre contemporanee. No: ogni lavoro spinge in avanti il confine, stupendo sempre di più. “The Spark” è contemporaneamente il loro lavoro più mainstream ma anche quello più arrabbiato. Musicalmente i brani sono più orecchiabili rispetto al passato, e il singolo “Live Outside” o “Shinrin-yoku” sono esempi molto eclatanti del percorso intrapreso dai Nostri, meno aggressivo musicalmente e a tratti più epico. Anche i pezzi più ruvidi, come ad esempio l’altro singolo “Rabble Rouser”, suonano molto più leggeri rispetto ad una “SSSNakepit”, per fare un nome a caso. Le tematiche trattate sono però l’antitesi della proposta musicale: si affrontano le crisi personali degli artisti, e più precisamente le crisi di panico vissute da Rou negli ultimi anni (“An Ode To Lost Jigsaw Pieces”) ma, soprattutto, l’incertezza di un mondo in declino tra austerità, pericolo portato dal terrorismo, la perdita di ogni certezza causata anche dalla Brexit, rabbia ben esplicitata nel brano “Take My Country Back”.
“The Spark” è un nuovo U-Turn nella carriera degli Enter Shikari. Un disco che necessita di numerosi ascolti, perché è innegabile che ad un primo ascolto possa spiazzare. Una cosa è certa: se va bene, ne comprenderemo le sfumature tra qualche anno. D’altronde parliamo di uno dei gruppi che, ad oggi, guarda al futuro come pochi.