Intervista a Bloody Beetroots, “The Great Electronic Swindle” nei negozi il 20 ottobre

I The Bloody Beetroots torneranno nei negozi il prossimo 20 ottobre: “The Great Electronic Swindle”, questo il titolo del disco, arriva a quattro anni di distanza dal precedente “Hide” ed è il debutto per la canadese Last Gang Records, label nota per aver lanciato tra i tanti anche i Crystal Castles. In occasione del concerto a Home Festival 2017, abbiamo incontrato la mente dietro il progetto Sir Bob Cornelius Rifo, scoprendo dettagli sull’imminente uscita e aneddoti sulle registrazioni.

Il singolo “My Name Is Thunder” è uscito da pochi giorni, puoi anticiparci qualcosa del tuo prossimo disco?
Il disco verrà pubblicato il 20 ottobre e sarà molto lungo. Uscirà per una nuova etichetta, la Last Gang Records. Questo album sarà diverso e cercherà di mettere insieme le varie sfumature di pubblico che mi hanno seguito negli anni. In ogni traccia del lavoro ci sarà un ospite, come ad esempio Perry Farrell dei Jane’s Addiction o Jay Buchanan dei Rival Sons, ma anche pezzi agli antipodi e molti altri che verranno rivisti in corso d’opera. Al momento posso dire solo questo.

Hai suonato alcuni anni fa ad Home Festival come headliner. Come ti senti a tornare a questa rassegna, cresciuta rispetto a quando sei stato qui l’ultima volta?
Prima di tutto sono onorato di venire qui per la seconda volta perché credo che Home Festival sia uno dei migliori festival che abbiamo in Italia per lineup, organizzazione, distribuzione dei nomi, accessibilità nei prezzi, una struttura incredibile ed internazionale. Sono felice e contento, non vedo l’ora di tornare a suonare e rivedere il mio pubblico, anche perché i Bloody Beetroots non sono di casa qui in zona. E quando Home ci offre la possibilità di suonare in un contesto del genere possiamo essere solo felici.

Di fatto, sarai l’headliner del festival chiudendo il main stage questa sera…
Ci pensavo, ed è una cosa pazzesca. Ne discutevo poco fa con mia mamma e le ho detto “Beh, sai, suonerò dopo i Duran Duran”! Stasera ci sarà anche mia mamma, ovviamente per i Duran Duran.

Come è nata la collaborazione con Nick Cester dei Jet?
Semplice: quando scrivo una canzone lo faccio sempre immaginandomi il cantante che vorrei dietro al microfono. Ho fatto due telefonate e ho scoperto che lui vive a Como. Ho preso l’auto, ci siamo incontrati e messi d’accordo davanti ad una pizza e un bicchiere di vino. Le registrazioni sono andate così: è un pezzo che spacca il culo e che aprirà The Bloody Beetroots Live ed è figo, fighissimo: siamo in Top 50 nelle radio americane e il pezzo continua a salire.

Sei un musicista che negli anni ha esplorato le più disparate influenze musicali. Quali sono le fonti più importanti del tuo io musicista?
C’è un forte core punk, per tutto il White Noise presente nelle canzoni, ma anche molta musica classica come Chopin. Diciamo che non mi sono mai fermato a fare un blend di tutti i generi, ma ho trovato nell’elettronica quel minimo comun denominatore che mi permette di inserire tutte le mie influenze musicali. Prima di tutto sono un ascoltatore e un fan, mi entra in colori e situazioni diverse e, con questa scelta, mi ha permesso di dare quella connotazione che rende figo un progetto come i Bloody Beetroots.

Cosa vuol dire essere punk nel 2017?
Credo che l’etichetta punk sia scaduta da molto tempo, essendo diventata una parola utilizzata ad uso e consumo gratuito che ormai non ha più alcun senso. Per me essere punk è prima di tutto uno stile di vita, nel senso di rompere le regole e di non essere legato a loro, spingendosi sempre oltre. Alla fine, personalmente, in questi anni ho avuto la possibilità di fare quel cazzo che ho voluto, e mi ritengo fortunato. Trovare la mia strada e sbattermi di ogni regola di business e stile di vita: questo per me è punk.

L’anno scorso, parlando con Max Gazzè, lui ha espresso che, nonostante sia famoso, apprezza ancora il fatto di andare a suonare nei piccoli locali. Pur essendo un’icona con uno stile visivo ben riconoscibile, hai mai pensato di dedicarti ad altri progetti, presentandoti come uno sconosciuto e non come Sir Bob Cornelius Rifo dei Bloody Beetroots?
Intanto credo che Bloody Beetroots abbia ancora tante potenzialità e tante sfumature inespresse: un esempio è quella unplugged, che abbiamo sperimentato una sola volta e fu un grande successo. Soprattutto con questo disco il progetto Bloody Beetroots potrà espandersi in altre modalità per ora inedite. Visto che si parla di un progetto che prende da molti generi, al momento preferisco dedicarmi bene e con tutto me stesso ad una cosa sola, perché se inizio a fare cose diverse potrebbe essere dispersivo e portarmi a perdere energie in un progetto che ne richiede tantissime, anche perché di fatto ogni due anni si parte da zero. No, credo che continuerò con i soli Bloody Beetroots almeno fino a quando avrò esaurito tutto il succo, poi si vedrà. E non è detto che, esaurito il progetto, possa ritornare a fare musica. Potrei per esempio dedicarmi alla fotografia, che è la mia altra grande passione.

Quali sono gli artisti che al momento segui di più?
Non tanto artisti ma produttori, ma credo che un Mark Ronson sia una figura molto importante nella produzione in questa contemporaneità: riesce a mettere insieme analogico e digitale e dare una forma finale incredibile, sia che lavori con i Queens Of The Stone Age che con Bruno Mars. Quello per me è un riferimento. Ma anche il nuovo di Calvin Harris è stato una grande sorpresa, senza farsi tante paranoie sul genere. Direi che Mark Ronson è il mio Dio da contemplare, studiare e usare come ispirazione.

Riprenderai in mano il progetto Church Of Noise?
Guarda, al momento i Refused so che stanno lavorando al secondo album dopo lo scioglimento. Se devo essere sincero, non so se ha senso ricostituire i Church Of Noise con due dischi dei Refused già pronti, essendo che il progetto era nato anche per lo scioglimento dei Refused. Preferisco muovere dei passi ulteriori per creare una comunità di appassionati di musica, ma che non sia legata solo all’ombra dei Refused o Church Of Noise. Credo che si possa evolvere in una sorta di community all’interno dei Bloody Beetroots, vista quindi in una diversa ottica.

Si ringrazia Fabio Cangianiello