Incontrare Max Casacci e Ninja, il duo dietro il progetto Demonology HiFi, è come incontrare un fiume in piena: da un progetto nato per scherzo, che inizialmente doveva essere vincolato ad alcune serate di dj set in giro per l’Italia, è poi nato un album vero e proprio, “Inner Vox”, che può essere annoverato tra i progetti di musica elettronica più interessanti usciti nel nostro Paese degli ultimi anni. Un vero e proprio cantiere aperto nel quale sono stati coinvolti amici di lunga data come Bunna degli Africa Unite o nuove leve della musica tricolore come Birthh, Cosmo e Niagara.
Abbiamo incontrato il duo pochi minuti prima del loro set a Home Festival 2017, che li ha visti esibirsi nella seconda giornata con nomi come Duran Duran, Moderat e Bloody Beetroots.
Inner Vox è il vostro primo disco. Da quanto ci stavate lavorando?
In realtà ci stavamo lavorando da almeno un anno senza sapere che stessimo lavorando ad un disco. Abbiamo cominciato per gioco, con dei DJ Set inizialmente molto variegati e, inizialmente, con lo scopo di riuscire a legare brani di generi ed epoche diverse creando una soluzione di continuità su cose tra loro slegate, il tutto con l’utilizzo delle basse frequenze. Poi ci siamo resi conto di alcune soluzioni ritmiche che avrebbero funzionato in un disco, destinato al dancefloor, e proprio da lì, dalle reazioni della gente in pista, abbiamo scritto le idee che poi sarebbero state incise in “Inner Vox”. Il tipo di mixaggio è anche diverso da un album di ascolto. E a questo punto, quando ci siamo accorti di avere tra le mani molto materiale, abbiamo deciso di dare al tutto una forma più compiuta cercando di coinvolgere anche altri artisti, come si faceva nei Rave Anni Novanta, e incrociando voci e generi al di fuori della musica elettronica. Solo in quella fase siamo entrati nella dimensione dell’album vero e proprio, creando un contenuto narrativo della voce interiore raffigurata a livello sonoro e concettuale da quel ronzio di fondo presente nei brani. In “Inner Vox” sono stati coinvolti anche altri musicisti che hanno dato il loro importante contributo al risultato finale.
Parlando di questi protagonisti, avete coinvolto nuove promesse come Birthh e amicizie consolidate come Bunna degli Africa Unite. Come sono ricadute le scelte?
Il coinvolgimento di Bunna è avvenuto perché è un musicista che conosco molto bene, avendoci lavorato per molti anni, e anche perché ritengo sia uno che conosce bene la dub poetry, che non è hip hop, non è reggae, ma un incedere parlato che a noi piace moltissimo e che avremmo voluto sentire in una base di tipo elettronica perché, personalmente, ritengo sia una cosa mai sentita e, da questo punto di vista, lo ritengo il numero uno. A Bunna abbiamo dato un punto di partenza, poi ha avuto carta bianca e le sue parole danno la perfetta suggestione visiva a quanto volevamo raccontare con “On The Sidewalks Of My Soul”. La scelta di Cosmo è invece stata naturale perché ad oggi è uno degli artisti a noi più vicini, forse l’artista che riesce a raccontare meglio la canzone con la musica elettronica, un po’ quanto abbiamo cercato di fare anche noi con i Subsonica. In quest’occasione Cosmo ha deciso di sperimentare rispetto al suo repertorio, chiedendoci di reinterpretare in chiave rap quanto aveva inciso in una prima stesura; quanto si trova in “Fino Al Giorno In Cui” è quello che ci dobbiamo aspettare dal Cosmo del 2018. Abbiamo scelto di coinvolgere anche artisti più giovani, come ad esempio Birthh, perché riteniamo che la generazione attuale abbia un respiro più internazionale, forse la prima chiaramente internazionale in Italia: musicisti di difficile identificazione che vengono pubblicati da etichette straniere che riescono a confrontarsi a testa alta con i colleghi stranieri. Niagara, che abbiamo coinvolto in “Neverending” è uno di questi, capaci di fondere i ritmi sudamericani alla musica elettronica come pochi in circolazione, una sorta di Made In Italy facilmente esportabile. Un’altra ospitata è quella di Radio Maria, che fa capolino in un pezzo del disco in chiusura ed è una sorta di lettura dell’Antico Testamento così intensa che abbiamo deciso di renderla protagonista di un nostro pezzo.
Da cittadini torinesi, che hanno avuto un ruolo importante nella cultura cittadina, come state vivendo lo svuotamento culturale della vostra città?
Osserviamo. Non siamo partiti prevenuti, siamo stati ottimisti ma ormai è abbastanza evidente che siamo di fronte ad una fase di restauro in ambito culturale. Detto questo, c’è una città che continua a produrre indipendentemente da tutto e dai vari meccanismi amministrativi. C’è da dire che il Traffic comunque è stato perso alcuni anni fa, ed era già un segnale che Torino non è mai stata pronta nel salvaguardare le sue conquiste. Noi siamo comunque dalla parte della città, non ci mettiamo a fare le barricate. Se mi metterò in gioco tra quattro anni? Penso sia l’ora che gli artisti facciano gli artisti.