In quella che si può definire una vera e propria bulimia concertistica per l’estate 2018 nazionale, con numerosi colossi della musica internazionale ed eventi di grido capaci di radunare decine di migliaia di persone, i quattro show di David Byrne nel nostro Paese correvano il rischio di passare quasi in sordina. In ogni caso il successo delle date è arrivato, anche nell’ultima serata italiana tenutasi a Trieste sabato 21 luglio.
Il tour partiva con premesse altissime: lo stesso Byrne affermò prima dell’uscita di “American Utopia”, nei negozi dallo scorso marzo, che questo sarebbe stato il suo più ambizioso progetto dai tempi di “Stop Making Sense”. Per chi non lo sapesse, parliamo di un’opera così fondamentale dei quali impatti innovativi se ne parla ancora oggi e che, non più tardi di qualche anno fa, fu fonte di ispirazione del tour di ritorno ai live dei Nine Inch Nails.
Con il nuovo format David Byrne destruttura letteralmente il concetto dell’esibizione live alla quale ci siamo abituati: nessuna strumentazione sul palco, nessuna scenografia, a dominare la scena tre cascate di filamenti metallici che trasformano il palcoscenico in un cubo aperto su due lati. Dress code strettissimo per ogni persona che calcherà il palco, con strumenti esclusivamente a tracolla (comprese tastiere e percussioni): completo grigio e un sorriso stampato in volto che caratterizza ogni musicista e lo stesso Byrne.
A parlare sono la musica, le coreografie di una vera e propria squadra di artisti, dal talento strumentale ma anche provetti ballerini, e, come per il già citato “Stop Making Sense”, le luci che sono l’unico tocco scenografico di tutto il concerto. Illumineranno il palco a giorno per buona parte del set, ma lo trasformeranno in opera d’arte in brani come “Bullet”, nel quale lo stesso Byrne tiene in mano un faro, o in “Blind”, dove dei fari trasmettono sullo sfondo le silhouette delle persone sul palco, o nella famosa “Burning down the house”, nel quale i colori freddi si alternano al rosso fuoco del ritornello.
David Byrne è il vero mattatore di una serata che inizia quasi in silenzio con “Here”, che chiude il nuovo album e lo vede maneggiare un cervello in un mix di lezione di scienze e Amleto moderno. Ma già nel secondo pezzo inizia a mostrare il suo visionario talento, con una voce che non accusa i segni del tempo, il talento musicale (prende in mano la chitarra al terzo pezzo, la tribale “I Zimbra”) e un fisico letteralmente senza età, al punto che a distanza di più di trent’anni ripropone la mimica del video di “Once in a lifetime” senza batter ciglio. La scaletta non presenta alcuna novità rispetto alle altre tappe del tour mondiale: un viaggio in tutta la sua carriera, con numerose incursioni nel repertorio dei Talking Heads e anche nelle collaborazioni con St.Vincent (“I should watch TV”) e Fatboy Slim (quella “Toe jam” uscita come Brighton Port Authority).
Molto spesso si passa per innovativo un format che artisti, peraltro dalla carriera intoccabile, propongono più o meno riciclato da vent’anni della loro carriera. Con “American utopia” e il suo tour di supporto David Byrne porta l’esibizione live in una nuova dimensione, possibile con le nuove tecnologie non disponibili nel suo periodo con i Talking Heads, e confermandosi come una delle menti più rivoluzionarie della musica moderna.