Frase abusatissima, ma con il concerto di Caparezza cala il sipario sulla nona edizione di Home Festival, anno funestato dal maltempo che ha caratterizzato in modi più (venerdì) o meno (domenica) gravi praticamente una buona fetta dei cinque giorni di festival.
Che il rapper pugliese fosse una sicurezza dal punto di vista live è cosa nota da chi bazzica i concerti di artisti nazionali da almeno un decennio, ma come per la leg nei palasport anche negli show open air Caparezza alza l’asticella di come proporre uno show di qualità nel nostro Paese con un approccio artigianale mescolato al digitale. E se i visual ne fanno la parte del leone (con il citazionismo che emerge nel droide de “L’infinito” che ricorda molto quello di Metropolis di Fritz Lang), bellissime sono le aggiunte scenografiche alcune inedite, come il cane a tre teste cavalcato nello scontro con Dante su “Argenti vive” o la simulazione del flipper in “Abiura di me”, o riprese dal precedente tour come la lavatrice con le ali da angelo in “Confusianesimo”.
Tanta musica e tanti generi in poco più di due ore di concerto, passando dall’hip hop alla taranta di “Vieni a ballare in Puglia” ma arrivando anche al rock più duro che più volte sfocia nel vero e proprio heavy metal (“Prisoner 709”, “Vengo dalla luna”, “Dalla parte del toro”), ma anche tanti messaggi politici. Lo show di Caparezza è infatti uno show politico, e politica è anche la scelta di ricordare prima de “La rivoluzione del sessintutto” le battaglie per le libertà civili e sociali di cinquant’anni fa e di chiudere il concerto con la critica alla società moderna di “Mica Van Gogh” dopo una “Fuori dal tunnel” che poteva sembrare il perfetto epilogo di un concept show incentrato sulla libertà. Se si potesse riassumere in poche parole il concerto di Caparezza sarebbe molto semplice: “Il migliore di Home Festival 2018”.
E non ne vogliano gli artisti che si sono esibiti nel corso della giornata, primi tra tutti gli Eugenio In Via Di Gioia che, se si dovessero giocare bene le loro carte, potrebbero essere il prossimo big thing di quello che viene spacciato per indie in Italia. Una band che sa suonare una proposta che rende molto meglio live, che ha al suo lavoro uno staff egregio (migliori luci e suoni della cinque giorni al Sun68 Stage) e che sul palco ha un approccio che ricorda molto sia gli Skiantos che gli Elio E Le Storie Tese, soprattutto in quella “Pam” che li ha visti protagonisti di un siparietto con una stagista della catena della grande distribuzione. Anche per loro uno show con messaggi ecologisti, come quello dei cambiamenti climatici prima de “La punta dell’iceberg”, e che si chiude con la promessa di un nuovo album per il 2019.
Lo Stato Sociale dimostra di aver fatto il salto definitivo su due fronti: prima di tutto su quello delle performance, migliorando notevolmente rispetto al passato e diventando una band solida anche dal punto di vista live. Ma ciò che più colpisce è il grande seguito ottenuto nell’ultimo anno, grazie anche a quella “Una vita in vacanza” suonata a Sanremo lo scorso febbraio. La scelta dei pezzi però non si muove rispetto al passato ma, anzi, i testi si riadattano al momento attuale. E se in una “Mi sono rotto il cazzo” il testo viene sì stravolto ma viene anche accompagnato da ironici messaggi nel ledwall sul retro, con “Sono così indie” il gruppo realizza di non esserlo più. Pur alternandosi al microfono con gli altri suoi colleghi, è innegabile che orami Lodo Guenzi ricopre il ruolo di frontman del gruppo, artista che dimostra ancora di avere i piedi per terra essendo stato avvistato nell’area del festival per tutta la sua durata. Un gruppo che, pur di fronte all’enorme successo ottenuto in poco tempo, non rinnega il passato, dandogli ancora ampio spazio in scaletta.
Non passano inosservati nemmeno i concerti di Francesca Michielin e Motta. La prima, che di fatto si esibisce in un house show essendo originaria del Veneto, chiude a Treviso il suo tour estivo, nel quale è stata accompagnata da una band composta da membri del Conservatorio di Parma, consolidando il suo status di nome mainstream ma dall’attitudine indipendente. E nello show, oltre a trovare spazio una cover di Kanye West (“Monster”), vengono proposte alcune delle sue maggiori hit come la più recente tropicale. Per il livornese invece una delle prestazioni più maiuscole del festival, a conferma che la qualità sfornata in dischi di successo viene facilmente replicata anche in sede live. Con un set ridotto rispetto a quello da headliner proposto in questo tour, Motta riesce in meno di un’ora a proporre canzoni come “La fine dei vent’anni” o “La nostra ultima canzone” con un impatto visivo e musicale notevole.
A chiudere il cerchio in una giornata che ha mostrato molte sorprese dall’indie nei palchi minori (su tutti Riccardo Zanotti de I Pinguini Tattici Nucleari e Generic Animal) due coppie di artisti diametralmente opposti. Eccellenti concerti dal duo femminile Joan Thiele e Maria Antonietta, che si sono esibite sul Sun68 Stage, concerti al limite dell’imbarazzo invece per i due rapper Gionnyscandal e Mr Rain sul Clipper Stage, con il primo che di fatto cantava più volte aiutato dal playback. A conti fatti, uno scambio di palchi ci poteva stare tutto.
Nicola Lucchetta, foto di Pietro Rizzato