Dropkick Murphys, il racconto del concerto di Padova del 19 giugno 2019

Habituée dei palchi italiani, i Dropkick Murphys tornano in Italia allo Sherwood Festival di Padova per la loro unica data italiana. Un concerto che ha visto in apertura due band che percorrono binari diversi rispetto al collettivo di Boston, come i canadesi Creepshow e il loro punk rock mescolato al rockabilly che è stato accolto da un pubblico esiguo.

Ben più convincente il concerto degli Interrupters, che tornano in Italia con un nuovo disco “Fight The Good Fight”. Il gruppo capitanato da Aimee Allen, armata di occhiali da sole e sorrisoni, ottiene sin dalle prime battute del singolo “A Friend Like Me” un caloroso e partecipe seguito del pubblico, che non si limita a ballare i brani a ritmo di ska ma anche a cantarne i cori, come ad esempio quello di “She’s Kerosene” o di una “Take Back The Power” introdotta da un monologo contro le discriminazioni di ogni genere, non ben accolte durante il loro concerto. Una proposta perfetta per scaldare il pubblico ma che, come molti gruppi ska, presenta una certa monotonia per i non fan del genere.

Di ben altro registro il concerto dei Dropkick Murphys, che dal punk non prendono la melodia o gli anthem ma l’attitudine intransigente e l’impatto sonoro che travolge sin dalle prime battute. Rispetto al passato, uno dei membri fondatori Ken Casey in questo concerto ha lasciato il ruolo di bassista/cantante per dedicarsi al solo canto, creando un vero e proprio duo di frontman con lo storico Al Barr, armato di ugola e immancabile cappellino. Pur con dei suoni non convincenti, ma solo sulle retrovie dell’area Park dello Stadio Euganeo, il concerto del gruppo di Boston è una delle poche sicurezze che si possono incontrare nel panorama live del punk rock internazionale: non deludono, ci mettono l’anima dal primo all’ultimo secondo e riescono a coinvolgere il pubblico come pochi, tra i quali erano presenti alcuni membri de Lo Stato Sociale.

Come per il concerto al Gran Teatro Geox di Padova di non più tardi di un anno e mezzo fa, il concerto al cronometro dura poco più di un’ora e venti ma l’unico momento di pausa rimane lo stop prima dell’encore. Una prima parte senza momenti morti, introdotta da una strepitosa accoppiata “The Boys Are Back” e “Going Out In Style” che mette in chiaro in musica le direttive dello show a coloro che vedono dal vivo per la prima volta i Dropkick Murphys. Non mancano estratti dal passato remoto del gruppo, come una “Boys On The Docks” o “The Fighting 69th” e la title track prese da “The Gang’s All Here”, ma neanche incursioni da “11 Short Stories of Pain & Glory” come “First Class Loser” e la conclusiva “Until The Next Time”. Tante infine le cover suonate, come ad esempio la nota “I Fought The Law”, famosa per essere stata reinterpretata anche dai The Clash, e il classico “The Irish Rover”, in una scaletta che come da tradizione non presenta grossi collegamenti con quelle delle altre date del tour europeo.

Un concerto che ha avuto il suo massimo momento nell’encore, quando il gruppo ha invitato sul palco per gli ultimi due brani, tra cui la storica “I’m Shipping Up to Boston”, decine di fan accorse sul palco per saltare e ballare con i loro beniamini. Perché ai concerti dei Dropkick Murphys, anche se la musica e certe tipologie di fan (fortunatamente poco presenti nel contesto di Sherwood Festival) possono far pensare ad un certo tipo di aggressività, alla base di tutto c’è il rispetto e quella cosa che, in inglese rende meglio, viene definita brotherhood.