Beady Eye – Different Gear, Still Speeding

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Con Different Gear, Still Speeding siamo di fronte alla “prova del nove”. Per tutti i fans che dopo il fatidico 28 agosto 2009, data della caduta ufficiale dell’impero Oasis, attendevano con ansia una ripresa della formazione mancuniana con il progetto Beady Eye, questo disco è la risposta alle vane speranze. Aspettative, peraltro, fomentate dall’ormai macchiettistica arroganza di Liam Gallagher, che non ha mancato di schiaffeggiare col guanto il capolavoro di debutto degli Oasis Definitely Maybe. Bisogna chiedersi se il motore propulsore di questo lavoro sia la vena compositiva di Liam, da sempre offuscata da quella indubbiamente superiore del fratello, o piuttosto una faida famigliare ancora in corso.

I 13 brani del disco non si discostano molto dall’ultimo Dig out your soul, mantenendone lo stile ma non l’originalità: più che un disco di debutto si disegna come una serie di b-sides di un disco ben riuscito, che a ragione si è collocato alla fine della carriera di una grande band. Non troviamo il sound caldo e potente “da stadio”, prerogativa fondamentale degli ultimi dischi degli Oasis, ma anzi una pasta sonora intenzionalmente spoglia, traccia evidente della presenza monolitica di Steve Lillywhite come produttore.

All’ascolto, la tracklist si spacca in due: da una parte canzoni ben strutturati, che tornano a esplorare le origini del rock ‘n roll per dargli il meritato lustro, dimostrando lo spessore artistico del gruppo; dall’altra, i brani più banali che minano alle fondamenta la credibilità della nuova band. Se in apertura Four Letter Word fa ben sperare, se non altro per il ritmo incalzante e la melodia in stile poliziesco di fine anni ’70, Millionaire spegne l’entusiasmo con la sua bucolicità del tutto fuori luogo; a seguire lo sperticato omaggio ai Beatles in The Roller e il singolone Bring the Light, zeppo di baby come on e belle coriste, che apre una finestra sul panorama rock ‘n roll nel senso stretto del termine. Ed è da qui che inizia il declino: sei brani che all’ascoltatore non lasciano nulla, se non la possibilità di sorridere sulle note spensierate e vaghe di Wigwam. Almeno in chiusura, The Morning Son permette ai nostalgici di rivivere, seppur alla lontana, l’atmosfera di Champagne Supernova.

Sul futuro dei Beady Eye si può dire ancora ben poco, l’unica cosa certa è la sottile ironia tragica del titolo del loro disco di debutto: “Different Gear” sicuramente, “Still Speeding” mica tanto.

Grazie a Gregorio Setti

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