Panic At The Disco – Vices And Virtues

panic at the disco vices and virtues
Due è meglio di uno, ma sicuramente peggio di quattro. E anche nel caso dei Panic! At The Disco la matematica non è un’opinione. Dopo la dipartita del chitarrista Ryan Ross e del bassista Jon Walker, i nostri superstiti Brendon Urie e Spencer Smith tornano dopo tre anni col nuovo album, Vices and Virtues: titolo a dir poco azzeccato, data la netta spaccatura che divide, se vogliamo dirla brutalmente, il materiale buono da quello di scarto.

Con Pretty. Odd. avevano segnato in maniera definita (e definitiva) i confini del loro stile, ben farcito di richiami al rock classico e all’ambiente burlesque; un entusiasmante mix che viene sedato, per una buona metà, da questa nuova uscita. Se da un lato troviamo una ancor più pregnante attenzione rivolta ad atmosfere barocche, dall’altro troviamo una dilagante caduta di stile che pervade tutto il disco. Ciò che la tracklist traccia non è un quadro unitario, bensì un collage di pezzi ben riusciti e originali con pezzi di una banalità spiazzante.

Nella metà buona si inseriscono, a ragione, il singolo The Ballad Of Mona Lisa, senz’altro incalzante e convincente, insieme a Let’s Kill Tonight, che conferma la presenza della preannunciata “synth stuff”; apprezzabili anche il brano acustico Always, utile più che altro a spezzare la sfilza di brani insipidi che la precedono e che stende il tappeto rosso alla voce di Sir Urie, e Sarah Smiles, forse il brano più interessante di tutto l’album, con i suoi intermezzi folkloristici tendenti a una sorta di Bordelliana zingaraggine. Nella metà “scadente” troviamo in sostanza tutto il resto dell’album: stendendo un velo (pietoso) sulla banalità che paradossalmente contraddistingue brani come Hurricane, Memories e Trade Mistakes, con ritornelli stampati in serie, tipicamente firmati Fueled by Ramen, si arriva al brano più sprecato di tutto il disco, Nearly Witches, in cui la coppia Urie – Smith è riuscita a rovinare il singolare sottofondo cabarettistico-burlesque con un ritornello agghiacciante e intermezzi a stampo natalizio.

Insomma, un disco che sicuramente pone all’ascoltatore diversi punti interrogativi, ma che quantomeno lascia la possibilità di scegliere quale metà seguire: se le virtù, e in questo caso tralasciare la parentesi “triste” del disco, o i vizi. Nel secondo caso sarà probabilmente l’ultimo album dei Panic! At the disco che il nostro “ideale consumatore” si degnerà di ascoltare.

Gregorio Setti

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