Gli Sleaford Mods rientrano pienamente nella categoria delle band che hanno sbagliato poco nel Terzo Millennio. L’attesa per l’uscita di “English Tapas” era fortissima per più ragioni, un motivo tra tutti il debutto del duo sulla Rough Trade Records, riferimento per la musica indipendente internazionale. Il secondo è il fatto che “English Tapas” è il primo album della band dopo il referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ed era lecito aspettarsi da una realtà fortemente politica come gli Sleaford Mods una reazione adeguata.
Gli importanti cambiamenti a livello discografico non hanno scalfito la rabbia del duo. Anzi, grazie anche ai recenti eventi storici del Regno Unito sono riusciti ad amplificarla a livelli mai raggiunti. L’intenzione che Andrew Fearn e Jason Williamson avessero l’intenzione di alzare l’asticella la si era già intuita dal primo singolo “B.H.S.”, brano che paragona il declino del Regno Unito alla vicenda di British Home Store, colosso del retail britannico lasciato fallire nella sua indifferenza dal proprietario, il magnate Philip Green. Un Regno Unito che è perfettamente descritto nel titolo: una nazione in declino, piena di sé quando non lo dovrebbe essere, al punto di far propria una tradizione latina come le tapas, e soprattutto senza gusto.
“English Tapas” è uno spaccato del peggio che si può respirare nel Regno Unito nel pieno dell’austerità. “Army Nights” è un inno alla vita da spogliatoio, le famose “locker room” recentemente entrate sulla bocca di tutti grazie a Trump; viene dato ampio spazio anche alla piaga delle dipendenze, dalla cocaina e alla società dell’apparire (“Snout”) all’alcol consumato nell’ambiente casalingo (“Drayton Manored”), dove il viaggio verso il supermercato viene visto come un viaggio su Marte. Nei suoi testi Jason Williamson non si risparmia, con il suo cantato in bilico tra punk, hip hop e new wave, lanciando numerose frecciatine ad NME (“Dull”), Boris Johnson (citato indirettamente su “Moptop”), agli appassionati della cucina biologica (il pollo organico schifoso citato all’inizio di “Cuddly”), arrivando ad un punto di rassegnazione tale dal rimpiangere i neoliberisti al governo (“Carlton Touts”).
L’impianto musicale curato da Andrew Fearn non sbaglia un colpo. Pur mancando una vera e propria hit capace di far svoltare il disco, come una “Jobseeker”, la qualità di “English Tapas” si mantiene su livelli molto alti in tutti i brani, sia quando si decide di premere sull’acceleratore del punk, ma anche nei beat hip hop, negli accenti orientali di “Dull” o nei brani più vicini al post-punk dove, in più di un momento, si respira l’aria dei PIL grazie anche al particolare accento di Jason Williamson. Un tessuto sonoro che spiana la strada ad alcuni cori cuciti ad hoc per la dimensione live come, ad esempio, quello in “Just Like We Do” che salva un brano altrimenti mediocre, il coro iniziale di “Moptop” o “BHS”.
“English Tapas” è l’ulteriore conferma che gli Sleaford Mods sono uno dei gruppi britannici più validi usciti nel Terzo Millennio. Una band che incarna più di altre l’essenza del punk, dall’attitudine alla prolificità (viaggiano ad una media di più di una release ufficiale all’anno), e che riesce a far evolvere uscita dopo uscita una formula che ormai presenta delle caratteristiche che la rendono riconoscibile e facilmente identificabile.