Dropkick Murphys e Flogging Molly, il report del concerto di Padova del 14 febbraio 2018

San Valentino anomalo per gli amanti del Celtic Punk, che decidono di radunarsi al Gran Teatro Geox di Padova per l’unica data italiana da coheadliner di Dropkick Murphys e Flogging Molly, accompagnati dall’ex Sex Pistols Glen Matlock in veste solista acustica. Una serata di San Patrizio con poco più di un mese di anticipo, caratterizzata dall’offerta di birra Guinness e whisky Jameson non frequente negli eventi di questa arena.

I suoni non all’altezza del contesto hanno minato per buona parte della serata, con il concerto dei Flogging Molly che risulterà alla fine della fiera una grandissima festa con della brutta musica. La band californiana, in tour per promuovere l’ultimo lavoro “Life is good” (che condivide il ruolo di leader nella scaletta con il secondo lavoro “Drunken Lullabies”), è autrice di uno show trascinato dal carisma del frontman irlandese Dave King, che nel tempo a disposizione propone una musica molto apprezzata dai propri fan, trascinati da inni come “Swagger” o inediti come “The Hand of John L. Sullivan”, messa in apertura. Un concerto che ha presentato un grandissimo difetto: tolti i veri appassionati del combo, ad un orecchio non particolarmente esperto lo show dei Flogging Molly risulta una sequela di brani tutti uguali tra loro.

Di tutt’altra pasta il set dei Dropkick Murphys, i working class hero del folk punk di Boston che per l’occasione portano sul palco una scenografia delle grandi occasioni, con una pedana sulla quale dominano la scena il batterista Matt Kelly e Scruffy Wallace, che si alterna tra cornamusa e fiati e dei video trasmessi sul retro, da autocelebrativi logo o video promozionali. Uno show curato nel minimo dettaglio, con i suoni che miglioreranno nel corso della serata e con delle luci perfettamente sincronizzate con la loro musica.

Il concerto del gruppo del Massachusetts ha dalla sua il fatto che, grazie ad un vasto repertorio che tocca vent’anni di carriera, la scaletta varia ogni sera. La loro è una musica d’impatto, dove il cantante Al Barr si comporta da vero aizzafolle prima che da frontman, lasciando spazio ai musicisti (saranno diversi i momenti solisti) e godendo del supporto vocale del bassista del gruppo Ken Casey, pronto ad aiutarlo quando lui cerca il contatto con il pubblico per dispensare sorrisi e brofist. Una setlist ricca, che presenta più di venti canzoni, ma che ha ridotto il concerto ad una durata di poco superiore all’ora: questo perché i Dropkick Murphys scelgono di travolgere il pubblico con le canzoni, riducendo al lumicino le presentazioni delle stesse. Sì, perché di brani da suonare ne hanno avuto tanti, e se pezzi come le più recenti “The Lonesome Boatman” o la cover “I Had A Hat” non soffrono il confronto con il passato, il live è un susseguirsi di inni come “The State of Massachusetts”, “First Class Loser” e “Johnny, I Hardly Knew Ya”, con spazio anche per il classico di Johnny Cash “Folsom Prison Blues”. Ma i boati, ed è inutile ribadirlo, arrivano con un solo pezzo, quella “I’m Shipping Up to Boston” che è il momento più conosciuto del loro repertorio.

Una serata in chiaroscuro, che ha presentato una band in serata nì (Flogging Molly), una sicurezza del live anche in veste solista (Glen Matlock) e dei colossi del genere (Dropkick Murphys). Un San Patrizio in anticipo, un San Valentino alternativo per gli amanti del punk e dell’Irlanda.