Jamey Jasta, famoso per essere il frontman degli Hatebreed, riesce a trovare un buco in agenda per il suo debutto solista. L’aria che si respira è quella di un disco fatto per puro divertimento: non a caso, infatti, la proposta è sì ispirata ai classici topos dei brani della band madre, ma presenta come elementi di novità molte aperture melodiche (già sentite nel disco omonimo del suo progetto principale, datato 2009) e i tipici riff e assoli figli delle nuove sonorità statunitensi. A conferma dell’approccio spensierato di Jasta, troviamo una nutrita presenza di ospiti, tutti curiosamente concentrati nella seconda parte del disco: in ordine di comparsa, Phil Labonte degli All That Remains, Randall Blythe dei Lamb Of God, Tim Lambesis degli As I Lay Dying, Zakk Wylde, Mike Vallely dei Revolution Mother e Mark Morton, anch’esso dei Lamb Of God.
Un disco tutto fuorché memorabile, dove Jasta non delude nelle parti per lui più “innovative”, ma nemmeno esalta. Un passatempo un po’ caro, anche per i fan più intransigenti del big boss del metalcore a stelle e strisce.
Nicola Lucchetta