KG Man ormai si è fatto il suo nome nell’ambiente reggae italiano, sia con la sua band, i Quartiere Coffee, sia grazie alla sua collaborazione con i Rezophonic. Ora prova il grande passo con l’album solista “International Business”, che tradisce un approccio di lavoro e ambizioni internazionali. Ecco cosa ci ha detto del suo disco, anticipato dal singolo “Reggae to di World”.
Domanda banale ma doverosa: hai suonato per anni in una band, cosa ti ha spinto al passo da solista?
L’esperienza con la band non è archiviata. Vengo da lì e lì mi sento a casa. Ma un artista si evolve e vuole fare le sue esperienze, un po’ come quando un figlio vuole studiare lontano da casa e poi ritorna.
Questo passaggio cos’ha cambiato a livello produttivo e tematico?
Sono due realtà reggae, per cui è cambiata solo la velocità di produzione. Non riuscivo ad aspettare altre persone, avevo bisogno di sperimentare cose nuove e farlo subito.
Come mai un disco solo digitale?
Il reggae non è un genere di massa, per cui se uno è interessato a un disco se lo va a cercare, non è che lo vede per caso da MediaWorld e se lo compra. Quindi chi è interessato al mio disco sa dove trovarlo, senza bisogno di trovarselo davanti. Ma in ogni caso stamperò un po’ di copie da portarmi dietro ai live…
A partire dal disco e dalla lingua in cui canti, il patwa giamaicano, è un disco con un’attitudine internazionale…
Il reggae ha l’underground più potente di tutti, c’è una scena in ogni nazione e quindi c’è una situazione che permette a questo genere di essere internazionale. Rivolgersi solo alla nicchia italiana sarebbe stato controproducente. Poi mi piace tantissimo il patwa, per cui mi è venuto spontaneo.
Questo approccio si riflette nella tua vita personale, magari con la passione per i viaggi?
Mi piace viaggiare, ma solo se devo suonare. In un modo o nell’altro ci deve essere comunque la musica di mezzo.
Anche gli ospiti sono di caratura internazionale: penso a Sizzla e Luciano. Come sei arrivato a loro?
Grazie a un mio conoscente avevo una corsia preferenziale. Mi sono detto: con chi sono cresciuto? Con Sizzla e con Luciano. Per cui ho deciso di rivolgermi a loro. Non abbiamo lavorato faccia a faccia, ma c’è stato comunque un feedback continuo, volevano sapere che tutto fosse a posto.
Non mancano anche gli ospiti italiani…
Siamo realtà nate tutte assieme, siamo tutti amici e c’è stima reciproca, per cui è stato normale chiamare qualcuno di loro.
Anche l’etichetta, Germaica, è internazionale: come ti hanno pescato?
Per questo album ho formato un team di cui faceva parte anche un dj, Moiz, che lavora in un soundsystem che è tra i più forti in Europa, Kalibandulu. Io gli ho dato l’album e gli ho detto di farlo sentire un po’ in giro. Lui ha fatto un lavorone, perché solo una settimana dopo mi ha scritto dicendomi che lo voleva distribuire Germaica. Per me è stata una soddisfazione immensa.
In concreto come hai lavorato ai brani del disco?
Magari iniziavo registrando i ritornelli al telefono. Ma poi c’è stato un grande lavoro al Bunker Sound di Firenze, dove abbiamo portato una vera e propria Nazionale del reggae. Ci tengo a ringraziare tutto il team che mi ha aiutato.
Un brano del disco che è il tuo biglietto da visita?
Amo molto un mio brano acustico, “Positive Music”, che ho fatto in dieci minuti quando non avevo più voglia di registrare niente.
Tour?
Ci sono in programma sia date nazionali che internazionali. Parecchio Est Europa e poi la Spagna, dove comunque il reggae è mainstream.