Il successo ottenuto da Ed Sheeran negli ultimi anni è uno dei fenomeni più difficili da spiegare: come ha potuto avere un così vasto riscontro, in un’era nella quale il mercato musicale è trascinato da singoli scritti per lobotomizzati, un ragazzo le cui influenze spaziano da un soul che potrebbe essere amato dagli over 50 all’hip hop che è in voga da almeno tre lustri? Un marketing aggressivo, certo, ai limiti del tollerabile, ma questa volta non si promuovono gli One Direction ma il talento cristallino di un ragazzo inglese che si è ritrovato dai pulciosi pub londinesi a Wembley in meno di dieci anni.
Chi era già pronto ad urlare al fuoco di paglia di “+” viene preso a ceffoni già dai primi tre pezzi: partendo da “One” a “I’m A Mess” che fanno partire il disco come un diesel (mettendo comunque già in luce la voce da cantante blue-eyed soul), la bomba arriva con “Sing”, prodotta dal Re Mida Pharrell Williams e candidata d’ufficio alla rosa dei pezzi simbolo del 2014. Un pezzo a cavallo tra funk ed hip hop che è servito, insieme agli altri due singoli “Don’t” e “Thinking Out Loud” (in linea con “Sing” il primo, ballatona clamorosa la sconda), a lanciare il disco con il pilota automatico nell’Olimpo degli anni Dieci del nuovo secolo. E non è tutto, visto che si parla di un piccolo antipasto: lo vediamo, tra le tante cose, scrivere una grande ballata come “Photograph” con Johnny McDaid degli Snow Patrol, omaggiare il rap su “Nina” e “The Man” e portare la Motown nel Terzo Millennio con “Runaway”. All killer no filler, citando i Sum 41.
“X” è il disco della consacrazione definitiva di Ed Sheeran: dopo la sorpresa di “+”, il secondo capitolo discografico inserisce il nome del 23enne tra i grandi del momento. L’Italia, invece, arriva con qualche anno di ritardo: quando nel resto del mondo i dischi di platino collezionati sono innumerevoli, Ed Sheeran debutterà nei palazzetti ad inizio 2015. Dalle mie parti si dice “Piuttosto di niente, meglio piuttosto“.