Nic Cester, noto per essere il cantante dei Jet, si esibirà a fine agosto per due esclusivi concerti open air. Il primo, in programma domenica 26 agosto, lo vedrà esibirsi in un concerto gratuito al Castello Sforzesco di Milano, nel quale verrà supportato per l’occasione da una vera e propria orchestra. Pochi giorni dopo, giovedì 30 agosto, invece si esibirà all’interno di Home Festival con il supporto della Milano Elettrica, sua backing band per entrambi i concerti.
In occasione di questi show-evento, abbiamo contattato telefonicamente l’artista per ripercorrere gli ultimi anni della sua carriera e della sua vita personale.
Hai avuto un ultimo anno ricco di impegni. Ma cosa hai fatto nei dieci anni precedenti, praticamente dallo scioglimento dei Jet in avanti?
Prima di tutto sono andato in Giordania ed Israele con mia moglie, poi in Turchia e Pakistan. Volevo spostarmi fisicalmente ed emozionalmente dall’altra parte del mondo. Poi ci siamo trasferiti a Berlino per un paio di anni, dove ho studiato tedesco, in un periodo nel quale volevo vivere nuove esperienze al di fuori della musica. Piano piano è tornata la voglia di scrivere; ho trovato uno studio a Berlino, dove andavo ogni giorno come se fosse un vero e proprio lavoro, e ho cominciato a scrivere. All’inizio non è stato facile, perché non sapevo come lavorare da solo e usavo nuove cose, per me, come sintetizzatori e drum machine. Poi con il tempo le cose sono migliorate e dopo tre mesi il materiale iniziava a diventare interessante, dandomi la motivazione per continuare e arrivare a quello che poi sarebbe diventato Sugar Rush. Ah, tieni conto che questi sono solo quattro anni, del resto inizialmente non è che ricordo tanto. Sono tornato a scuola, fondamentalmente. Di un lavoro solista avevo già un’idea ai tempi dei Jet, anche se di fatto ho seguito una direzione diversa.
Per il disco in studio hai lavorato con i Calibro 35 mentre, per i live, hai creato i Milano Elettrica. Come hai conosciuto queste due band e che differenze di approccio hai avuto con questi due gruppi?
Una bella domanda! La prima cosa è che dieci anni fa ho preso casa a Como e l’unica persona che conoscevo al tempo era Matt Bellamy dei Muse. Mi fece conoscere Tommaso Colliva, con il quale siamo diventati amici, e quando avevo la necessità di un gruppo ho chiamato subito lui perché un amico e perché sono anche uno che lo rispetta come produttore, e sono anche un fan dei Calibro 35. Il disco era praticamente pronto, ma ho notato che per un tour era necessario avere anche dei musicisti a supporto. Sono quindi tornato in studio chiedendo l’aiuto proprio dei Calibro 35 perché al disco mancava un po’ “di aria”, visto che avevo fatto tutto da solo. L’idea di aggiungere un gruppo aveva un senso e il progetto venne spostato da Londra a Milano, riregistrando il disco in una dimensione live. Loro hanno portato molte cose, essendo musicisti di un livello straordinario, portando un suono italiano grazie agli strumenti d’epoca utilizzati e mi è piaciuto perché avevo intenzione di far sentire un po’ di Italia nel mio lavoro. Sei mesi dopo ricevetti un invito per suonare in Australia ad un festival importante ma, in quel periodo, i Calibro 35 non erano disponibili. Sempre con l’aiuto di Tommaso abbiamo messo assieme quelli che poi sono diventati la Milano Elettrica. Le differenze tra i due gruppi sono enormi: quando ho realizzato che con i Calibro 35 non sarebbe potuta andare avanti, mi sono ritrovato a dover ripensare diverse cose. Una, ad esempio, è la parte ritmica: su disco c’era la batteria classica ma anche quella elettronica, nel live ho scelto di avere due batterie e insieme suonano in una maniera incredibile. Sergio Carnevale ha un approccio più Old School, mentre Daniel Plentz (Selton), essendo brasiliano, ha una grande capacità di utilizzare le percussioni mettendo un approccio più latino. Insieme sono una cosa veramente speciale. Poi ci sono anche i fiati e gli archi. La cosa bella della Milano Elettrica è che sono tutti grandi musicisti e ti permettono di organizzare diversamente a seconda del tipo di concerto, dall’instore al concerto vero e proprio.
Che tipo di show porterai a Milano ed Home Festival nelle prossime settimane?
Sì, porterò prima di tutto due approcci diversi. Il concerto di Milano è molto importante per me perché ormai è la mia città: ci è nata mia figlia, ho casa, amici, ho registrato un disco e ho amici lì e, come dicono i milanesi, sarà “tanta roba”. Ma sarà importante anche il concerto ad Home Festival perché le mie origini sono italiane e la mia nonna è originaria di Treviso. Di fatto vedo i due concerti come degli Home Show. In passato suonai già a Treviso anni fa e in quell’occasione vennero anche i miei cugini, con i quali sono ancora in contatto e mi trovo spesso. I due show saranno quelli più importanti dell’anno.
Il 2018 ti ha visto anche tornare dal vivo con i Jet. Un bilancio del tour?
Abbiamo suonato in Giappone, Australia, Spagna e Regno Unito. È andato molto bene anche perché, se devo essere sincero, non sapevo come sarebbero andati. Mio fratello è una persona difficile e il rapporto con lui è un po’ “tricky”. Lo scioglimento a suo tempo arrivò in un momento pessimo, nel quale i rapporti si erano deteriorati. Il tour è servito per tornare amici con tutti, ho anche ospitato la band in Italia qualche giorno. Il 2018 è stato un grande anno: sono diventato papà, ho un disco, un nuovo gruppo, non posso dire che sia stato un “bad year”.
Mi hai parlato di tua figlia. La crescerai in Italia od Australia o diventerà una globetrotter come suo padre?
Beh, a sei mesi è già stata due volte in Australia, quindi ha già la frequent flyer card piena! Non lo so. Lei è italiana e, fino a due settimane fa, aveva il solo passaporto italiano. È più italiana di me, ma c’è ancora un po’ di Australia su di lei.
Quindici anni fa, quando hai inciso Are You Gonna Be My Girl, avresti mai immaginato di comporre quello che è uno dei pochi evergreen del rock di questo millennio?
Devo essere sincero, no, anche perché in quegli anni cercavo di scrivere brani sulle donne e basta. Quando la scrissi avevo 18 anni e non sapevo niente di niente. Grazie a quel pezzo mi è cambiata completamente la vita: non avrei immaginato di vivere in Italia, avere una figlia in Italia, sono molto molto grato a questo pezzo.
Prossimo anno c’è il decennale di Home Festival. Ti piacerebbe tornarci con i Jet?
Sì, però l’esperienza Jet per me potrebbe proseguire solo con un disco nuovo. Il tour di quest’anno è stato un vero e proprio tour di reunion, ma non voglio esagerare con questo format perché i fan meritano di più e non voglio che i Jet diventi un business o una cover band di sé stessi. Non escludo a priori un nuovo disco, e gli altri andrebbero in studio domani, ma vorrei che le nuove canzoni nascessero con idee comuni e scritte separatamente; ad oggi non vorrei vivere la pressione di entrare in studio, sale prova, per incidere un disco, è un approccio che non mi piace per niente. Se dovessi andare in Australia per scrivere dei pezzi e le idee che saltano fuori si dovessero dimostrare interessanti allora sì, se ne può parlare, ma continuerei con i Jet solo a questa condizione.